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martedì 20 febbraio 2018

La Fine della Ragione (la recensione)

Oggi parliamo della prima pubblicazione di una nuova collana fondata dalla casa editrice Feltrinelli, la Feltrinelli Comics. Come apripista troviamo Roberto Recchioni e il suo La Fine della Ragione. Oggi ne parliamo.


Dati Generali:
Testi & DisegniRoberto Recchioni
Anno di Pubblicazione: 2018
Etichetta: Feltrinelli Comics
Prezzo: 16,00 €

Trama:
È un mondo in cui hanno vinto loro. In cui le frontiere sono chiuse, perché gli immigrati vanno aiutati a casa loro. In cui nei cieli non volano più aerei, perché le scie chimiche ci avvelenano e perché, comunque, dove dovremmo andare? Una “brava persona” è quella che rimane a casa sua a fare la sua parte. Un mondo dove gli insegnanti sono nemici del popolo, perché tramandano le nozioni sbagliate. Un mondo dove i panni si lavano con i sassi e dove gli organi di informazione non esistono più, perché mentono. Un nuovo medioevo culturale e sociale. L’oscurantismo. In questo scenario, La fine della ragione racconta la storia di una madre con un figlio malato, trattata come un’eretica, perché alla ricerca dei perduti “bacini” (cioè, i vaccini).

Il Mio Parere:
A Roberto Recchioni va il compito di dare il via alla nuova iniziativa della Feltrinelli riguardante una linea autoctona di fumetti, media che - di anno in anno - si sta finalmente consolidando a vero e proprio mezzo di comunicazione di prim'ordine. Non che negli anni precedenti non lo fosse, ma è solo in questi anni che il fumetto sta uscendo dalla concezione popolare di "robetta per bambini". Alla luce di ciò, l'editor di Dylan Dog cerca di far capire al pubblico di questa nuova collana la potenzialità di tale media. Con La Fine della Ragione, Recchioni si fa artista e giornalista.


Giornalista perché - da grande lettore e conoscitore del fumetto - l'autore si rifà alle intenzioni con cui Dennis O'Neil si approcciò sul finire anni '60/inizio anni '70 nella stesura della seminale Lanterna Verde/Freccia Verde. Attivissimo nel giornalismo, O'Neil decise - nella serie team-up tra i due eroi di smeraldo - di fare dei fumetti una nuova forma di giornalismo che si limitasse, però, a mostrare alcuni argomenti che (per stessa ammissione dello scrittore) erano strascichi del fine anni '60: dei problemi di quella amata-odiata decade che nessuno s'impegnò veramente a risolvere e che, di conseguenza, divennero le piaghe della successiva. Il suo obiettivo non era quello di portare né polemiche, né soluzioni, ma utilizzare un personaggio legato al mondo della fantasia che facesse da filtro tra la versione disincantata che il lettore aveva del mondo e quella che, in realtà, era presente al di fuori dalle pagine del fumetto.

In parole povere, l'intento di O'Neil era semplicemente quello di mostrare, sperando che nel lettore ci fosse una reazione di qualche tipo. E' indubbio che ci troviamo in una situazione socio-politica tumultuosa, a dir poco preoccupante e parecchio simile agli Anni di Piombo. Per tanto, come fecero FV e LV ai loro tempi, il RRobe decide di seguire le orme di Dennis O'Neil e ci porta in un mondo dilaniato dall'assenza di cultura, istruzione e tutte quelle figure e istituzioni che hanno contribuito alla creazione della società moderna. La decisione di parlare di tematiche attuali col fine di sensibilizzare il lettore - visto che parliamo di una collana a fumetti per Feltrinelli - risulta azzeccata e forse anche necessaria per riportare il media ai suoi gloriosi fasti. Ma il creatore degli Orfani non è un giornalista e, anche se le intenzioni sono quelle, le parole per lui devono essere accompagnate con l'arte. Ed ecco che entra la sua personalità da artista.


Un luogo comune sull'arte che va sicuramente sfatato, è quello che vuole la stessa un mezzo per veicolare emozioni. Vero, ma soprattutto falso. L'arte suscita emozioni, certo, ma è solo l'effetto secondario (e a volte collaterale) del suo primo, vero intento: quello di trasmettere un pensiero, un messaggio e una filosofia. Volente o nolente, La Fine della Ragione è un opera artistica perché ogni dettaglio del volume (sia in termini di scelte editoriali, sia in termini di scelte di narrazione) è arte nella sua forma più pura. L'autore gioca con la relazione tra parole e immagini propria del fumetto, trovando anche una spiegazione che diventa parte integrante della trama al perché la stessa sia raccontata tramite la modalità fumetto. Recchioni prende ogni particolarità dello stesso, lo spezzetta, lo smonta, lo denuda e gioca con le sue parti più intime e minimaliste, mascherando un messaggio positivo e di speranza dietro ironiche annotazioni e sarcastiche prese per il culo alla popolazione Italiana di oggi.

Sembra infatti strano che una storia come questa, che potrebbe da qualcuno essere definita l'esaltazione e la conferma della mediocrità, sia invece un'opera di speranza. Questo perché, se il bello dell'arte è quello di dare la possibilità di condividere un pensiero, il brutto è che lo si fa con mezzi talmente personali che gli altri devono avere l'accortezza e la sensibilità necessaria per poterlo capire. Magari non condividere (poiché siamo tutti diversi) ma quanto meno di capirlo. Questo perché l'arte è fatta anche di tanta interpretazione e il messaggio de La Fine della Ragione è un messaggio che va capito e interpretato, in quanto è il contrario di quello che vuole superficialmente dire. Prendiamo come esempio la sequenza che parla della rimozione di figure come i professori. Tale parte non è un modo per sottolineare l'importanza della loro assenza, quanto l'importanza della loro presenza oltre che la loro valorizzazione. Nell'arte ogni presa di posizione simile non è quasi mai una conferma, ma una denuncia che dovrebbe suscitare nel lettore il "sentimento del contrario" di cui parlava Luigi Pirandello, creando una reazione.


In tutto ciò, l'opera non è comunque esente da un difetto che non si trova nel pensiero sardonico che l'autore (Roberto Recchioni)/personaggio (Asso) vuole trasmettere o nelle decisioni artistiche della sua graphic novel (come la scelta di far sembrare che la storia sia raccontata su fogli a righe di fortuna) realizzata con un tratto che è il personale punto di incontro tra Frank Miller e Go Nagai. Un difetto che, visto l'argomento e la delicatezza dello stesso, non si poteva evitare. Per tanto, mi piace chiamare questo "errore" più un "difetto di produzione".

Il difetto principale (più da intendere come imperfezione) è dovuto al fatto che Recchioni sembra avere fretta - diciamo più urgenza - di trasmettere il desiderio di svegliare le coscienze e non riuscire, magari come voleva, ad andare fino in fondo. Con ciò non voglio dire che il fumetto lascia indifferenti, è solo che lascia con la sensazione che manchi qualcosa, come se questa storia fosse un elaborato concept per fare svegliare coscienze il più in fretta possibile. Il punto è che sembra solo scritto "di fretta" e la storia non è volutamente sviluppata poiché La Fine della Ragione tratta di un argomento così delicato, dove - se la storia fosse stata più lunga - sarebbe stato facilissimo cadere nella banalità, nello stereotipo o nella critica popolare facile e disinformata, facendo diventare i propri lettori dei celeberrimi "analfabeti funzionali".

Infatti, la graphic novel è volutamente corta e volutamente poco sviluppata perché Roberto Recchioni ha ben compreso i limiti dell'arte e del giornalismo: sono solo strumenti, non efficaci portatori di soluzioni. Mostrano, illustrano e consigliano, ma non agiscono in prima persona, perché quello spetta al lettore. Quindi la madre del suo racconto diventa Dante, Recchioni stesso Virgilio, accompagnando il lettore attraverso i gironi d'Inferno di questi Nuovi Anni di Piombo. In questa enorme presa di coscienza, Recchioni si dimostra tanto intelligente quanto umile; intelligente, perché consapevole che problemi così complessi non potevano essere analizzati nel limitato spazio delle pagine di un fumetto; umile, perché altrettanto consapevole di non poter portare soluzioni al lettore. Infatti, la conclusione della storia sembra quasi non portare un messaggio di speranza o rassicurare al lettore che le cose andranno meglio, lasciandogli più domande che risposte e l'amarezza in bocca derivata dall'avere così tanto potere, ed essere - nonostante ciò - così impotenti e poco efficaci verso il problema trattato.

In realtà, di potere ce ne è eccome. Basta allungare la mano.


Conclusioni:
La Fine della Ragione è una di quelle opere dove l'autore afferma dei concetti perché vuole credere nei propri lettori e chiedere agli stessi di dimostrare che egli si sta sbagliando. Roberto Recchioni afferma - con una cronache feroce, eppure con un sempre voluto sorrisetto da schiaffi sulla faccia - che la società di oggi ha perso il raziocinio e preferisce vivere sotto la più classica e rassicurante campana di vetro. Recchioni vi prende per il bavero e vi prega di impegnarvi affinché la sua tesi si dimostri errata, vi prega di coltivare la cultura, vi prega di credere nel progresso. Permane nella lettura la sensazione che manchi qualcosa, ma è stato un sacrificio dovuto per non cadere nel banale e lasciare al lettore una sensazione di rivalsa verso un sistema che non lo sta aiutando.

- Symo

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