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martedì 10 gennaio 2017

HCSS - Hardcore Superstar: la recensione (Pick A Card-Cer #96)

Continuiamo con la nostra sfilza di dischi che sto guardando in questi giorni? Ovvio che si! Ehi...un momento! Ma è tutta qui la tua introduzione? Deh, inventatevela voi una nuova introduzione ogni giorno! Vai con la recensione di HCSS dei HARDCORE SUPERSTAR.


Questa volta proviamo una modalità di recensione diversa. In questo post, mostreremo non solo il commento al disco in sé, ma anche i commenti fatti quando il disco fu accompagnato dai singoli che pubblicizzavano la sua uscita, così da mostrarvi la maturazione del mio pensiero riguardo HCSS.


1° Singolo: Glue (commento del 30 Dicembre 2014)


E dunque, momento della vera verità. Com'è sto Glue? Com'è la prima canzone resa nota dalla band che farà parte del prossimo album previsto per l'inizio del 2015? Beh, il singolo composto da Jock Berg & Soci e prodotto da Joe Barresi (Queens of the Stone Age, Fu Manchu, Kyuss, Nine Inch Nails) è da 'nzomma. Si lascia decisamente ascoltare ed è tipo cento spanne in più sopra a tutto il pezzentissimo e orribile disco precedente...ma questo non toglie che, qualitativamente parlando, è anche cento spanne più sotto di praticamente tutto il precedente repertorio della band, anche della canzone più cazzuta e riempitiva. Alla luce di ciò, è chiaro che gli HCSS cercano un cambio di genere/stile iniziato nel 2013 con quell'album li bruttissimo di cui mi vergogno a dire il nome un'altra volta; dopo alcune ricerche, ho scoperto che Glue è una canzone del 1994, scritta dai componenti prima della formazione della suddetta band.

E allora sorge, dentro Il Dubbio di Tutte le Cose un altro dubbio: perché rispolverare un brano vecchio di vent'anni? Che questo fantomatico cambio sia un ritorno alle origini? Anche se nessuno l'ha dichiarato, è chiaro che la band svedese voglia cambiare le carte in tavola: i drastici cambi di sonorità sono fin troppo palesi, e se avessero voluto tenere quello di sempre, non si sarebbero rivolti per ben due volte a produttori che hanno collaborato con gente d'un certo livello e con band che possono non piacere, ma che sanno il fatto loro. Se è così, cari miei, per quanto bene vi voglio, questa bisogna dirvela: sarebbe una scelta da pazzi. Sarebbe buttare via una crescita musicale che è andata sempre in ascesa, fino ad esplodere e fargli guadagnare fama mondiale. Poi ci penso meglio, e forse la soluzione è più semplice di quanto sembra e tutte le seghe mentali che mi sto face (e sto scrivendo) solo solo seghe mentali di un blogger esaurito per il periodo che meno sopporta dell'anno: quello Natalizio. Forse, ha ragione Sick Boy, e la sua teoria della vita.

In ogni caso, il singolo non soddisfa pienamente perché (come confermato sopra) il pezzo descrive pienamente un periodo di ibrida formazione, dove nemmeno la band stessa aveva capito che genere fare. Si ok, rock, ma quale? Negli anni sono venute a formarsi un godzillione di diramazioni e sottogeneri, che va bene non scegliere una specificazione precisa, ma almeno scegliere da che parte stare si. Glue grida a gran voce: "Ok, facciamo che noi partiamo con un pezzo rock standard, poi col tempo ci si sistemiamo". Più che una canzone con una vera identità, è solo un segnale di stile (e con un ritornello da scuola elementare), che va bene se gli Hardcore Superstar fossero una band esordiente...ma il problema è che non lo sono...e alle spalle c'hanno pure una grossa cacata da farsi perdonare. Poi oh, magari hanno scelto male loro il singolo da presentare, perché anche il singolo del precedente album era grandioso...ma poi, sappiamo tutti come è andata. In sintesi: meglio della volta scorsa, ma peggio di tutte le altre. Speriamo in futuro di essere smentiti alla grandissima.


2° Singolo: Don't Mean A Shit (commento del 25 Febbraio 2015)


Vi dirò, questo singolo ha un segreto. Mentre per Glue la mia idea non cambia, e rimane quella che lo vuole un singolo mediocre, per Don't Mean A Shit dove applicare un piccolissimo trucchetto: lo ascoltate, lasciate passare qualche ora (o addirittura qualche giorno, se non qualche settimana) e poi lo riascoltate ancora. Di primo acchito non sembrerà davvero granché, presentandosi come una di quelle canzoni composte durante i momenti scazzo della band e da rinchiudere in una probabile e/o futura raccolta di B-Sides dedicata allo zoccolo duro dei fan. Se invece la riascoltate dopo un pò, dopo bene o male dopo il tempo indicato qui sopra, non vi sembrerà male; certo, non griderete al capolavoro o a chissà quante altre frasi di complimenti, però farete un leggero accenno con la testa che starà a significare un "me gusta". Ovviamente il vostro primo pensiero sarà sicuramente "hanno fatto di meglio", ma non vi farà estirpare cuore e polmoni del vostro petto gridando "peeerrchhèèè!?" e diverse imprecazioni.

Più che altro, la vera utilità di questo singolo dai tratti e le caratteristiche molto alla Split Your Lip (e la cosa ci piace tantissimo), è quella di ragionare sull'album in sé. Sia chiaro che, da dei semplici singoli, non si può trarre un giudizio completo del disco, però si possono invece fare dei pronostici, e il pronostico del sottoscritto (dopo due singolo rilasciati) è: che non sarà un album immediato. Mi spiego. Quello che ha fatto guadagnare il successo di cui ora gode la band, era la particolare entità delle loro canzoni, progettate come live song e fatte per spaccare sopratutto nei live; fortunatamente, la vincente chimica dei quattro di Goteburg ha fatto si che queste canzoni vadano bene in qualsiasi occasione, come ascoltarle così giusto per svizio, in macchina mentre si viaggia, mentre si fa i mestieri, con gli amici e via dicendo. Per dirla in soldoni: la fortuna della band è stata la sua immediatezza, scaturita da canzoni dalla forte e precisa identità. Questa volta sembra non essere così, perché se prima le canzoni piacevano subito proprio per i motivi sopra descritti, se a sto giro serve un ascolto in più, non dico che potremmo trovarci di fronte ad un prodotto particolare, ma più insolito (rispetto agli standard della band). Se così fosse, allora, meglio così. Nel senso, meglio che mi piaccia dopo due o tre ascolti, che farmi schifo anche dopo cento. 


3° Singolo: Touch The Sky (commento del 21 Aprile 2015)


Partiamo chiarificando una probabile perplessità maturata durante l'ascolto. Che Jocke Berg è diventato afono durante la registrazione del disco? Non è che questa vita da rockstar gli ha fottuto una volta per tutte le corde vocali? No, tranquilli, è che questa canzone è un feat con la cantante Etzia, nome d'arte che rientra nella serie: abbiamo finito i nomi. La vocalist che padroneggia generi come la Dancehall e il Reggae, a quanto pare amica della band, è stata convinta a fargli sto piacere di una collaborazione, classificandosi come secondo artista a fare un feat con i quattro di Goteborg; il primo, invece, è stato Sophisticated Ladies, in cui figurano gli assoli del chitarrista Mattias "IA" Eklundh. Ma detto questo, com'è sto singolo? Che è strano.

Strano nel senso che si conferma sia quanto detto sul singolo di Glue, che sul singolo di Don't Mean A Shit. Come detto in Glue, abbiamo la conferma che la band sta cercando un nuovo stile e una nuova sonorità, forse per provare qualcosa di nuovo, o forse perché vuole essere più leggere per passare agilmente in radio. Però abbiamo anche la conferma di quanto tetto in Don't Mean A Shit, ciò che questo cambio sarà anche uno che non sarà immediato e che ci vorrà un pò per metabolizzare. Lo stesso singolo di cui stiamo parlando, Touch The Sky, per inciso non è male eh, ma per delle band che hanno sfornato autentiche canzoni pestone (tipo Into Debauchery) sono quasi quasi fuori luogo, come se i membri della band siano diversi pur avendo lo stesso nome. Detto in soldoni: si lascia ascoltare, ma non rimane impresso per particolari meriti...e fa rimanere un pò con la bocca all'asciutto il fatto che, una band che ha ricostruito lo sleaze metal anni '80 e ha sfornato successi su successi, si accontenti della mediocrità, quando potrebbe effettivamente dare di più. D'altro canto però, c'è un pò di curiosità vero il nuovo disco HCSS. Più che altro, per sentire com'è questo nuovo sound e vedere come sono questi nuovi Hardcore Superstar.


Il Disco (commento del 9 Marzo 2015)
Se avete letto i post pubblicati finora dedicati al vari singoli rilasciati dalla band per presentare HCSS, avrete sicuramente letto le mie preoccupazioni, nonché perplessità legate ad un sospetto nato dall'ascolto dei primi brani messi in giro: ma non è che siamo davanti ad un C'mon Take On Me parte due? In parte si, ma non le modo in cui mi aspettavo. C'è da dire che ascoltare i singoli è come guardare un trailer di un film: lascia il tempo che trova e, sopratutto, la visione di un trailer può essere una visione forviante, poiché il film potrebbe rivelarsi 'na minchiata quando invece la sua anticipazione metteva hype; di conseguenza, la cosa si riflette anche sui singoli musicali: qualcuno potrebbe essere ben fatto, ma poi ascoltando il disco, si classificherebbero come unici brani che si salvano in quella che si laurea una discarica acustica. Il punto è che c'è anche la situazione inversa: il trailer fa schifo, ma il film è bello; i singoli sono pietosi, ma l'album è grandioso. Non si può parlare di HCSS come un album grandioso, ma molto molto piacevole e godibile. 

C'è da dire che il microcosmo musicale dei quattro di Goteborg è stato scombussolato dal loro precedente disco, il per l'appunto incriminato C'mon Take On Me, i quali hanno cercato con il suddetto album datato 2013 di fare una cosa di cui non avevano bisogno: fare un disco che presentasse il loro genere e il loro stile, omaggiando la loro carriera e quella dei gruppi che gli hanno ispirati; non ce ne era bisogno, per il semplice fatto che (grazie ad Internet) gli Hardcore Superstar sono diventati mostruosamente famosi, passando da fenomeno di nicchia, a fenomeno di culto senza passare dal via. Destabilizzati da ciò, Joke Berg e soci hanno deciso di rimettersi in piedi partendo dal punto di partenza più ovvio, ma anche migliore: l'inizio. 

HCSS è un album dall'anima fortemente cazzona, più punk che hard rock o sleaze metal. Però, rispetto ai dischi d'esordio come It's Only Rock 'n' Roll e Bad Sneakers And A Piña Colada, HCSS è un album meno punk e dark di quelli sopra citati, ma questo perché i dischi datati rispettivamente 1998 e 2000 segnavano l'esordio musicale degli Hardcore Superstar, e quindi erano album all'insegna dell'ignoranza, dell'inesperienza e della semplice voglia di rompere qualcosa; in mezzo a quei due e HCSS, c'è da tenere a mente che c'è stato il santissimo quartetto rappresentato da Hardcore Superstar, Dreamin' In A Casket, Beg For It e Split Your Lips: album che hanno tridimensionalizzato la band, datogli spessore e l'identità di cui godono oggi. Rimane comunque un ritorno alle origini, poiché i brani di questa nuova fatica ricalcano una certa "spensieratezza" a livello tecnico: insomma, sono un pò più sempliciotte di bastarde martellate come Into Debauchery o malinconiche raffinatezze come Here Comes That Sick Bitch. In pratica, c'è meno maturità musicale a cui gli Hardcore Superstar ci avevano abituato, ma un pò per abitudine loro, è venuta fuori lo stesso in HCSS, creando un bel mix tra il passato e il presente del gruppo Svedese. 

Tracce:
Qui riassunte in un unico video per comodità


Conclusioni:
Il primo ascolto, si avverte, è decisamente spiazzante, perché inconsciamente si è alla ricerca di brani che possano compete con vecchie glorie del calibro di We Don't Celebrate Sundays. Il punto è che gli Hardcore Superstar stanno ricostruendo il loro stile, portando al pubblico qualcosa di diverso, ma simile, riuscendoci con questo HCSS, a cui (si avverte, nuovamente) serve almeno un secondo ascolto per riuscire ad apprezzarlo. Il sopracitato mix tra la matrice musicale d'esordio della band e quella bella maturata da vita al sound che cercavano, ponendosi agilmente come una tipologia di suono. Purtroppo le matrici originali sono superiori a quelle moderne e quindi serve ancora un album in più per interiorizzare il nuovo stile, siamo sulla buona strada. 

- Symo

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