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mercoledì 21 marzo 2018

Lucifer: Stagione 1 - la recensione (Pick A Card-Cer #117)

Oggi, parliamo di un telefilm, perché - come sempre - ne abbiamo voglia. Recensione della prima stagione di LUCIFER.


Trama:
Nel 2011 il diavolo, annoiato dal suo ruolo di signore degli Inferi, abbandona il suo regno insieme all'alleata Mazikeen e si trasferisce a Los Angeles decidendo di mettere su un night club di nome "Lux" che in breve diviene molto alla moda. Circa cinque anni dopo una serie di circostanze portano Lucifer a conoscere l'affascinante detective Chloe Decker: sebbene suo fratello, l'angelo Amenadiel, lo esorti caldamente a tornare al suo posto mentre Maze gli fa notare come in lui stiano nascendo sentimenti umani, Lucifer continua a collaborare con Chloe finendo per far nascere uno strano rapporto di amore-odio reciproco tanto da dover ricorrere a frequenti visite dalla terapista Linda Martin.

Il mio Parere:
Avete mai letto la trama di un film/telefilm per poi dire: "Questa cosa, farà sicuramente schifo?" Ebbene, a me è successo con la prima stagione di Lucifer, che hanno reso l'intera stagione la fiera del "già visto" sono gli stessi che hanno reso Gotham una barzelletta e Constantine un Titanic seriale.

Per quanto riguarda Gotham, quello che all'inizio sembrava un "favore" che la FOX faceva ai fan di Batman, e a tutti gli appassionati di serial comics, si è poi mostrato come un mero prodotto delle tendenze, comandato a bacchetta da decisioni di marketing col solo obiettivo di cavalcare la sempre più crescente fama e qualità dei cinecomics e serial comics. Per Constantine, invece, è stato l'approccio scelto da showrunner e produttori della NBC ad affossare qualità e ascolti, che hanno preferito esaltare le caratteristiche avventurose della serie Hellblazer invece che i suoi lati più seriosi e drammatici (come politica e drammi personali), trasformando la serie in un clonazzo di serial alla Supernatural, facendo domandare allo spettatore quale fosse la reale differenza tra i due telefilm (protagonista escluso). Con scatto felino e abile mossa, il serial tv del produttore e showrunner Tom Kapinos (si, lo stesso di Californication) prende due piccioni con una fava e incorpora in un solo telefilm i due macro-difetti elencati qui sopra.


Quello che rendeva unico il personaggio creato da Neil Gaiman - ma modellato successivamente da Mike Carey nell'omonima testata fumettistica - era l'atipicità di come una figura diabolica come Lucifero venisse rappresentata e come tale aspetto influenzava il carattere ed i toni che andava acquistando la serie, via via che la numerazione progrediva: divenne estremamente raffinata, complessa, complicata, filosofica e volutamente impegnata. Proprio come fece Constantine a suo tempo, non si poteva partire subito spingendo al massimo su queste caratteristiche, bisognava prima pastorizzare il pubblico con una versione edulcorata e poi raddrizzare il tiro durante la trasmissione; ma proprio come Constantine, anche Lucifer, così facendo, si tira la zappa sui piedi, creando una versione più accessibile a tutte le fasce di pubblico (e senza tutte quelle cose che hanno contribuito a rendere la serie così acclamata), svalutando e snaturando l'opera originale, portando agli occhi dello spettatore un police-procedual sulla falsa riga del Forever di ABC: parliamo del police-procedural con i due partner non corrisposti dall'evidente tensione sessuale, però coppia affiatata che si ritrova a lavorare per caso, che continua battibeccarsi con un umorismo da PG-13, ma che in fondo si vuole tanto bene.

Dove l'originale serie a fumetti utilizzava i classici stereotipi solo come presa in giro degli stessi, o come trampolino di lancio per trattare argomenti impegnativi come (tanto per dirne uno) il libero arbitrio, la serie televisiva ne è invece schiava e costretta a seguire una strada percorsa centinaia di volte perché incapace/non ben disposta a seguire l'originale linea d'azione dell'opera di provenienza.

Nonostante ciò, qualche numero carino Lucifer lo mette pure a segno: Tom Ellis, per esempio, s'impegna alla grande e si dimostra un "diavolo gentiluomo" davvero affascinante e piacevole, lasciando pure intendere che l'attore stesso si stia egregiamente divertendo nei panni di questo diavolo ritiratosi a vita privata, ma ancora soggetto alla sua natura di corruttore demoniaco, valorizzando quindi la sua recitazione e aiutando lo spettatore a superare (grazie ad essa) anche i momenti più noiosi/stereotipati del format procedurale-poliziesco. Tuttavia, anche qui la sua interpretazione (per quanto piacevole grazie anche al raffinato accento british) è caricaturale e anch'essa schiava del classico stereotipo del personaggio eccentrico, bello e impossibile uscito da una puntata qualsiasi di Once Upon A Time.


Dunque a che pro trasporre un'opera, senza le caratteristiche che l'hanno resa così famosa? Per marketing e mancanza di idee per un serial ex-novo. Il ferro si batte finché è caldo e i fumetti sono la cosa più "hot" (non nel senso di eccitante, eh) degli ultimi anni, dove le trasposizioni cinematografiche/televisive hanno dato i più alti e convincenti risultati, tanto da spingere la produzione di film incentrati su personaggi sconosciuti (vedi Ant-Man) giusto per allargare il parco personaggi e ripetere il colpaccio: quindi bisogna cavalcare quella che è a conti fatti una moda. Ma siccome i personaggi più conosciuti ce li hanno gli altri, FOX cerca quanto meno di accaparrarsi quelli noti solo a chi vive a pane e fumetti, per differenziarsi dalla massa: cosa che effettivamente gli riesce, ma non in senso positivo, perché se le opere che converte in telefilm sono senza la sua anima, non può essere considerato un buon prodotto, ma solo il ripetersi della tragica storia seriale di Dexter.

Dapprima saga letteraria scritta da Jeff Lindsay, poi serie tv dove solo la prima stagione ha una qualche dignitosa somiglianza al primo libro in cui compare Dexter Morgan; dalla seconda stagione in poi, il libro è stato utilizzato come semplice trampolino di lancio per costruire qualcosa di completamente diverso: tutti gli eventi futuri partoriti dalla penna di Jeff Lindsay, saranno solamente una guida al "cosa mettere dopo" nello show, al fine di piegarlo al proprio volere e secondo la propria visione degli eventi. Anche nel caso di Lucifer: c'era proprio bisogno di fare così? Non ci si poteva impegnare di più per inventare qualcosa di nuovo, e magari risparmiare l'originale opera da una più che libertina interpretazione, solo per il bisogno di stare al passo con le mode del tempo? Evidentemente no.



Conclusione:
La prima stagione di Lucifer è esattamente quello che sembra: un procedurale poliziesco con il classico "caso del giorno", munito di tutti i tipici cliché del format, con il protagonista dall'accento britannico che tanto piace alle ragazze e la partner dal passato tragico da cui può nascere una nauseante love story con i risvolti così prevedibili, da trovare le istruzioni per scriverla pure nell'Ovetto Kinder. Il tutto dovrebbe essere impreziosito da questo elemento "magico/mistico", vista la natura soprannaturale di Lucifer Morningstar, e legato insieme con un bel fiocco brillantato come manco Danny Zucco. Non sentitevi in colpa, dunque, se più di una volta durante la visione vi siete ritrovati a dire: "Si si, bla bla, già visto, già sentito, bla bla, dai mostrami qualcosa di nuovo!". Avrebbe potuto essere qualcosa di infinitamente più originale e inedito, e magari solo per una certa fascia di pubblico, ma si è invece scelta la formula "buono per tutti e speciale per nessuno". Un gran bel peccato.

- Symo

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