Man mano che la carriera editoriale di Devil procedeva, come tutti i personaggi, anche il Diavolo Custode ha subito una più certosina sfaccettatura che lo ha portato sulla strada della maturità caratteriale. Una delle caratteristiche su cui gli autori che hanno scritto il Diavolo Rosso Marvel hanno più battuto chiodo, è il legame di amore/odio che Devil ha con proprio con Hell’s Kitchen, legame che ricorda molto quello che Batman ha con Gotham City. Oggi, vediamo nel profondo il legame che c'è tra il Diavolo Custode e la città che difende.
In cinquant’anni di vita editoriale di Devil, tutti gli sceneggiatori (regolari ed occasionali) si sono sempre soffermati su un solo aspetto di questo quartiere, descrivendolo comunque egregiamente: ma era pur sempre un solo aspetto, e mettendo insieme tutti gli aspetti delineati a turno dai vari tessitori di trame che si sono susseguiti sulla testa, non si arriva neanche lontanamente a descrivere in maniera completa, esauriente e soddisfacente quello che veramente rappresenta Hell’s Kitchen. Non ce l’hanno fatto gli Ed Brubaker, i Brian Michael Bendis, gli Ann Nocenti e i Roy Thomas in cinque decenni, chi altro potrebbe farcela?
Impresa ardua quella di rispondere alla domanda: “Cosa è Hell’s Kitchen?”, quesito che rientra in tutto e per tutto nella categoria delle domande esistenziali alla: “Qual’è il senso della vita?”. Perché non riusciamo a trovare una risposta concreta e universale su quale sia il senso della vita? Perché non esiste una risposta universale: la vita, per definizione, è diversa per ogni singolo individuo e dunque lo sarà anche la concezione della stessa. Il senso della vita esiste eccome, ma è un parere/teoria/convinzione prettamente intima e personale, difficilmente condivisibile con gli altri e impossibile da sottoporre a giudizi obiettivi.
Alla luce di questi problemi, capirete anche voi che fare un articolo d’approfondimento su Hell’s Kitchen, è molto, molto difficile, se non impossibile; chi vi dice il contrario, sta mentendo, lo si può dire tranquillamente senza bisogno di sentire i suoi battiti cardiaci. Però, c’è anche da dire che (in teoria) è anche impossibile che esistano cose come un uomo “senza paura”: è una figura utopica, tutti hanno paura di qualcosa. Eppure, Matt Murdock e il suo scarlatto alter-ego hanno dimostrato più di una volta di non provare terrore alcuno per nessunissima cosa/persona/situazione. Se la paura fosse un organo come i polmoni o il cuore, Matt ne è nato sprovvisto. E allora, ispirati dal comportamento del nostro eroe, spogliamoci anche noi della paura e facciamoci un aperitivo nella Cucina del Diavolo.
Scusate, l'Internet me l'ha servita praticamente su un piatto d'argento. Scherzi a parte, possiamo parlare di questa location sotto due punti di vista: l’aspetto fisico e l’aspetto spirituale.
Fisicamente, non è Gotham City, né Metropolis, ma nemmeno una città. Hell’s Kitchen non è un posto di pura fantasia, ma un quartiere di Manhattan (New York City) che esiste per davvero, situato fra la 34° e la 59° Strada, lungo tutta la Eighth Avenue e la Zona Portuale del Fiume Hudson (come mostrato nella cartina qui sopa); eograficamente, confina con il quartiere Midtown, noto ai lettori Marvel per essere il quartiere in cui opera l’Uomo Ragno. Volgarmente potremmo definirla una sorta di “Little Ireland”, dato che (come è successo per zone come Little Italy e Chinatown), gli immigrati di una qualsiasi nazionalità che venivano negli Stati Uniti in cerca di lavoro, erano malvisti dai residenti della più famosa città d’America, finendo così per esser costretti ad insediarsi in zone spoglie di abitanti e trapiantare letteralmente la loro cultura in quella zona finora neutra, riuscendo non solo a vivere lontano da pregiudizi e maldicenze, ma anche a svolgere in santa pace il loro lavoro.
Col tempo, ovviamente, le cose cambieranno e Hell’s Kitchen (oggi conosciuto anche come “Clinton” o “Midtown West”) diventerà semplicemente un quartiere come un altro, e non un bastione della classe operaia Irlandese come lo fu agli albori. La cosa che salta più all’occhio, è sicuramente il suo particolare nome, che in Italiano significa: “La Cucina del Diavolo”. Le origini del nome, come molte cose, si perdono nel tempo e ancora oggi non è semplicissimo dire con certezza chi fu l’ideatore di questo nome e in riferimento a quale evento. Ma la origin of storicamente più accurata ce l’ha riportata Brian Michael Bendis attraverso le parole di Milla Donovan nella sua run che ha fatto leggenda in coppia con Alex Maleev, scritta su Daredevil #44 (Vol.2, 2003) e ristampata nel volume Devil – Brian Michael Bendis Collection: Il Processo del Secolo & Spregevole edito da Panini Comics. Quanto segue, è la citazione del pezzo che ci interessa:
Fisicamente, Hell’s Kitchen, è tutta qui. Niente di più, niente di meno. Questo quartiere, di diverso dagli altri, ha solo quello di avere un nome più pittoresco e particolare, per il resto condivide una origine parecchio analoga a molti altri posti. E allora cosa lo rende una location unica nel suo genere? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo passare in rassegna il suo lato spirituale.
Come gli esseri umani si distinguono per davvero non tanto dal fisico, quanto dal carattere, anche Hell’s Kitchen non è da meno, poiché negli anni editoriali delle storie di Devil, questo quartiere (a volte rappresentato come una vera propria città, dentro un’altra città) ha assunto delle caratteristiche generali che l’hanno reso un vero e proprio personaggio a sé stante. Anche qui, chi sia stato il primo sceneggiatore a vederci una sorta di “anima” in questo agglomerato di strade e palazzi, come l’origine del nome di cui abbiamo parlato prima, la paternità dell’idea si perde nel tempo. Ma una cosa è certa: possiamo dire, senza ombra di dubbio, chi ha dato l’interpretazione migliore di questa idea; chi, meglio di altri, è riuscito con più incisività a dare una generale caratterizzazione e trasformare in un personaggio vivo e pulsante un quartiere di cemento e acciaio. Quell'uomo, si chiama Frank Miller.
Nessuno si può ritenere un vero fan di Frank Miller, se non sa una cosa: che il suo idolo e principale fonte di ispirazione, è Will Eisner. E nessuno si può considerare un vero cultore del fumetto, se non sa chi è Will Eisner: colui che ha creato le Grapich Novel e il personaggio di The Spirit.
No, non questo Spirit.
Questo Spirit. Non facciamo scherzi, ecché.
The Spirit alias Denny Colt, detective/criminologo mascherato Denny Colt, protettore della città di Central City. La cosa che rendeva particolare questo personaggio, era il suo rapporto con la metropoli che difendeva, con cui Spirit si dedica ad essa con passione, rispetto e totale devozione; la considerava al pari di una donna, l’unica che non tradirà mai (e che non lo tradirà mai) oltre che una fedele partner con cui può condividere emozioni analoghe e reciproco rispetto. Le storie di Spirit/Denny Colt erano intrise di trame e risvolti tipicamente noir e hard-boiled, sotto-generi letterari della narrativa poliziesca/investigativa contraddistinti da trame più crude, intricate e realistiche, personaggi dall’allineamento “bene/male” ambiguo e colpi di scena spiazzanti.
Leggendo queste caratteristiche, viene subito spontaneo notare che il genere in cui si muovere la creatura di Eisner ha molti punti in comune con il tono che Miller ha condito le atmosfere del Cornetto nella run che ha fatto scuola ai futuri sceneggiatori di Devil, di fatti sarà proprio questo personaggio a fare a sua volta da scuola allo scrittore del Maryland, dando la dritta che gli serviva per ricreare il mito di Daredevil e farlo diventare un personaggio con una sua identità e non più un volgare clonazzo del Tessiragnatele. Ma il futuro scrittore e disegnatore de Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro oserà di più: non trasforma Hell’s Kitchen nella copia di Central City, ma nella versione urbana e metropolitana delle Macchie di Rorschach, le celebri macchie d’inchiostro tinte su pannelli bianchi dove chi le guarda può vederci quello che vuole.
Ed ecco cos’è veramente il quartiere natio di Matt Murdock: una Macchia di Rorschach, una forma non ben definita di colore nero dove, chi si sottopone al test, ci vede la forma che vuole…o che più gli fa comodo. Sarebbe ingiusto dare una definizione assoluta di cosa è Hell’s Kitchen, dato che l’unica definizione assoluta la possiamo dare sotto forma di concetto fisico (di cui abbiamo parlato prima); come per il senso della vita, non esiste una definizione universale di cosa sia Hell’s Kitchen, ma solo la personale visione dei suoi abitanti. Per Bullseye è un utero femminile che continua a partorire nuovi sacchi di carne da uccidere e con cui ferire l’odiato arcinemico; per Kingpin è solo terra da sfruttare per ampliare il suo business del crimine, centimetri quadrati in più con cui fare più verdoni; per Elektra è una scatola dove rinchiudere i ricordi piacevoli che le impediscono di essere una fredda ninja; per i criminali comuni come Turk è un luogo di superstizione e paura da cui stare alla larga; per gente come Mr. Fear e il Gufo è una terra di opportunità dove farsi un nome; per Battlin’ Jack Murdock è un ring dove si perde continuamente, ma non si smette mai di combattere; per Vanessa Fisk è il cancro che ha rovinato lei e il suo matrimonio; per Foggy Nelson è una postaccio…ma l’unico postaccio a cui vuole bene; per Ben Urich è la dimostrazione vivente che il singolo è per definizione debole, ma non impotente, è che un solo uomo ha fatto la differenza e dato nuova vita alla speranza; per Devil è la sua casa, il suo dovere, il suo impegno, la sua responsabilità, la sua maledizione; per Matt Murdock è la sua vita, il suo corpo, il suo respiro.
E per noi? Forse per noi Hell’s Kitchen è solo un MacGuffin, il mezzo attraverso il quale si fornisce dinamicità a una trama: un motore virtuale e indefinito, un qualcosa che per i personaggi coinvolti ha un’importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l’azione, ma che non possiede un vero significato per noi lettori, una cucina dove si creano piatta dal sapore senza nome e senza gusto. Ma forse è anche giusto così. Forse è giusto che non sapremo mai cosa sia davvero Hell’s Kitchen, che sia giusto sapere cosa vuol dire per tanti personaggi, ma che non sia sappia davvero cosa sia in definitiva. Poiché Hell’s Kitchen è come la nebbia: ovunque, e da nessuna parte.
- Symo
In cinquant’anni di vita editoriale di Devil, tutti gli sceneggiatori (regolari ed occasionali) si sono sempre soffermati su un solo aspetto di questo quartiere, descrivendolo comunque egregiamente: ma era pur sempre un solo aspetto, e mettendo insieme tutti gli aspetti delineati a turno dai vari tessitori di trame che si sono susseguiti sulla testa, non si arriva neanche lontanamente a descrivere in maniera completa, esauriente e soddisfacente quello che veramente rappresenta Hell’s Kitchen. Non ce l’hanno fatto gli Ed Brubaker, i Brian Michael Bendis, gli Ann Nocenti e i Roy Thomas in cinque decenni, chi altro potrebbe farcela?
Impresa ardua quella di rispondere alla domanda: “Cosa è Hell’s Kitchen?”, quesito che rientra in tutto e per tutto nella categoria delle domande esistenziali alla: “Qual’è il senso della vita?”. Perché non riusciamo a trovare una risposta concreta e universale su quale sia il senso della vita? Perché non esiste una risposta universale: la vita, per definizione, è diversa per ogni singolo individuo e dunque lo sarà anche la concezione della stessa. Il senso della vita esiste eccome, ma è un parere/teoria/convinzione prettamente intima e personale, difficilmente condivisibile con gli altri e impossibile da sottoporre a giudizi obiettivi.
Alla luce di questi problemi, capirete anche voi che fare un articolo d’approfondimento su Hell’s Kitchen, è molto, molto difficile, se non impossibile; chi vi dice il contrario, sta mentendo, lo si può dire tranquillamente senza bisogno di sentire i suoi battiti cardiaci. Però, c’è anche da dire che (in teoria) è anche impossibile che esistano cose come un uomo “senza paura”: è una figura utopica, tutti hanno paura di qualcosa. Eppure, Matt Murdock e il suo scarlatto alter-ego hanno dimostrato più di una volta di non provare terrore alcuno per nessunissima cosa/persona/situazione. Se la paura fosse un organo come i polmoni o il cuore, Matt ne è nato sprovvisto. E allora, ispirati dal comportamento del nostro eroe, spogliamoci anche noi della paura e facciamoci un aperitivo nella Cucina del Diavolo.
Scusate, l'Internet me l'ha servita praticamente su un piatto d'argento. Scherzi a parte, possiamo parlare di questa location sotto due punti di vista: l’aspetto fisico e l’aspetto spirituale.
Fisicamente, non è Gotham City, né Metropolis, ma nemmeno una città. Hell’s Kitchen non è un posto di pura fantasia, ma un quartiere di Manhattan (New York City) che esiste per davvero, situato fra la 34° e la 59° Strada, lungo tutta la Eighth Avenue e la Zona Portuale del Fiume Hudson (come mostrato nella cartina qui sopa); eograficamente, confina con il quartiere Midtown, noto ai lettori Marvel per essere il quartiere in cui opera l’Uomo Ragno. Volgarmente potremmo definirla una sorta di “Little Ireland”, dato che (come è successo per zone come Little Italy e Chinatown), gli immigrati di una qualsiasi nazionalità che venivano negli Stati Uniti in cerca di lavoro, erano malvisti dai residenti della più famosa città d’America, finendo così per esser costretti ad insediarsi in zone spoglie di abitanti e trapiantare letteralmente la loro cultura in quella zona finora neutra, riuscendo non solo a vivere lontano da pregiudizi e maldicenze, ma anche a svolgere in santa pace il loro lavoro.
Col tempo, ovviamente, le cose cambieranno e Hell’s Kitchen (oggi conosciuto anche come “Clinton” o “Midtown West”) diventerà semplicemente un quartiere come un altro, e non un bastione della classe operaia Irlandese come lo fu agli albori. La cosa che salta più all’occhio, è sicuramente il suo particolare nome, che in Italiano significa: “La Cucina del Diavolo”. Le origini del nome, come molte cose, si perdono nel tempo e ancora oggi non è semplicissimo dire con certezza chi fu l’ideatore di questo nome e in riferimento a quale evento. Ma la origin of storicamente più accurata ce l’ha riportata Brian Michael Bendis attraverso le parole di Milla Donovan nella sua run che ha fatto leggenda in coppia con Alex Maleev, scritta su Daredevil #44 (Vol.2, 2003) e ristampata nel volume Devil – Brian Michael Bendis Collection: Il Processo del Secolo & Spregevole edito da Panini Comics. Quanto segue, è la citazione del pezzo che ci interessa:
“Parliamo del tardo Ottocento, alla fine del secolo.. Allora.. Tutta questa parte della città.. anche questa strada.. era un campo di battaglia. C’erano solo gang. Erano loro a comandare. Secondo la versione più nota della storia, questo poliziotto.. un poliziotto famoso.. Come si chiamava..?
Si, Fred l’Olandese. Un veterano. Aveva una recluta come collega…e guardavano questo assurdo tumulto che era scoppiato. Un bagno di sangue e di fuoco in mezzo alla strada. Pare che la recluta avesse commentato: <Questo post è come l’Inferno> . E Fred l’Olandese gli rispose: ”<L’Inferno ha un clima temperato. Questa è la cucina dell’Inferno>”
Fisicamente, Hell’s Kitchen, è tutta qui. Niente di più, niente di meno. Questo quartiere, di diverso dagli altri, ha solo quello di avere un nome più pittoresco e particolare, per il resto condivide una origine parecchio analoga a molti altri posti. E allora cosa lo rende una location unica nel suo genere? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo passare in rassegna il suo lato spirituale.
Come gli esseri umani si distinguono per davvero non tanto dal fisico, quanto dal carattere, anche Hell’s Kitchen non è da meno, poiché negli anni editoriali delle storie di Devil, questo quartiere (a volte rappresentato come una vera propria città, dentro un’altra città) ha assunto delle caratteristiche generali che l’hanno reso un vero e proprio personaggio a sé stante. Anche qui, chi sia stato il primo sceneggiatore a vederci una sorta di “anima” in questo agglomerato di strade e palazzi, come l’origine del nome di cui abbiamo parlato prima, la paternità dell’idea si perde nel tempo. Ma una cosa è certa: possiamo dire, senza ombra di dubbio, chi ha dato l’interpretazione migliore di questa idea; chi, meglio di altri, è riuscito con più incisività a dare una generale caratterizzazione e trasformare in un personaggio vivo e pulsante un quartiere di cemento e acciaio. Quell'uomo, si chiama Frank Miller.
Nessuno si può ritenere un vero fan di Frank Miller, se non sa una cosa: che il suo idolo e principale fonte di ispirazione, è Will Eisner. E nessuno si può considerare un vero cultore del fumetto, se non sa chi è Will Eisner: colui che ha creato le Grapich Novel e il personaggio di The Spirit.
No, non questo Spirit.
Questo Spirit. Non facciamo scherzi, ecché.
The Spirit alias Denny Colt, detective/criminologo mascherato Denny Colt, protettore della città di Central City. La cosa che rendeva particolare questo personaggio, era il suo rapporto con la metropoli che difendeva, con cui Spirit si dedica ad essa con passione, rispetto e totale devozione; la considerava al pari di una donna, l’unica che non tradirà mai (e che non lo tradirà mai) oltre che una fedele partner con cui può condividere emozioni analoghe e reciproco rispetto. Le storie di Spirit/Denny Colt erano intrise di trame e risvolti tipicamente noir e hard-boiled, sotto-generi letterari della narrativa poliziesca/investigativa contraddistinti da trame più crude, intricate e realistiche, personaggi dall’allineamento “bene/male” ambiguo e colpi di scena spiazzanti.
Leggendo queste caratteristiche, viene subito spontaneo notare che il genere in cui si muovere la creatura di Eisner ha molti punti in comune con il tono che Miller ha condito le atmosfere del Cornetto nella run che ha fatto scuola ai futuri sceneggiatori di Devil, di fatti sarà proprio questo personaggio a fare a sua volta da scuola allo scrittore del Maryland, dando la dritta che gli serviva per ricreare il mito di Daredevil e farlo diventare un personaggio con una sua identità e non più un volgare clonazzo del Tessiragnatele. Ma il futuro scrittore e disegnatore de Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro oserà di più: non trasforma Hell’s Kitchen nella copia di Central City, ma nella versione urbana e metropolitana delle Macchie di Rorschach, le celebri macchie d’inchiostro tinte su pannelli bianchi dove chi le guarda può vederci quello che vuole.
Ed ecco cos’è veramente il quartiere natio di Matt Murdock: una Macchia di Rorschach, una forma non ben definita di colore nero dove, chi si sottopone al test, ci vede la forma che vuole…o che più gli fa comodo. Sarebbe ingiusto dare una definizione assoluta di cosa è Hell’s Kitchen, dato che l’unica definizione assoluta la possiamo dare sotto forma di concetto fisico (di cui abbiamo parlato prima); come per il senso della vita, non esiste una definizione universale di cosa sia Hell’s Kitchen, ma solo la personale visione dei suoi abitanti. Per Bullseye è un utero femminile che continua a partorire nuovi sacchi di carne da uccidere e con cui ferire l’odiato arcinemico; per Kingpin è solo terra da sfruttare per ampliare il suo business del crimine, centimetri quadrati in più con cui fare più verdoni; per Elektra è una scatola dove rinchiudere i ricordi piacevoli che le impediscono di essere una fredda ninja; per i criminali comuni come Turk è un luogo di superstizione e paura da cui stare alla larga; per gente come Mr. Fear e il Gufo è una terra di opportunità dove farsi un nome; per Battlin’ Jack Murdock è un ring dove si perde continuamente, ma non si smette mai di combattere; per Vanessa Fisk è il cancro che ha rovinato lei e il suo matrimonio; per Foggy Nelson è una postaccio…ma l’unico postaccio a cui vuole bene; per Ben Urich è la dimostrazione vivente che il singolo è per definizione debole, ma non impotente, è che un solo uomo ha fatto la differenza e dato nuova vita alla speranza; per Devil è la sua casa, il suo dovere, il suo impegno, la sua responsabilità, la sua maledizione; per Matt Murdock è la sua vita, il suo corpo, il suo respiro.
E per noi? Forse per noi Hell’s Kitchen è solo un MacGuffin, il mezzo attraverso il quale si fornisce dinamicità a una trama: un motore virtuale e indefinito, un qualcosa che per i personaggi coinvolti ha un’importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l’azione, ma che non possiede un vero significato per noi lettori, una cucina dove si creano piatta dal sapore senza nome e senza gusto. Ma forse è anche giusto così. Forse è giusto che non sapremo mai cosa sia davvero Hell’s Kitchen, che sia giusto sapere cosa vuol dire per tanti personaggi, ma che non sia sappia davvero cosa sia in definitiva. Poiché Hell’s Kitchen è come la nebbia: ovunque, e da nessuna parte.
- Symo
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