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giovedì 10 settembre 2015

Speciale Dylan Dog #338 Fest - Parte 1: Accade Dopodomani

Il 23 Ottobre 2014, per festeggiare l'inizio della Fase Due di Dylan Dog voluta dalla Sergio Bonelli Editore per svecchiare e spantanare l'Indagatore Dell'Incubo dallo stango in cui s'era infilato, il sottoscritto e il Penna Stanca di The Nerd Experience unirono le forze per rendere al meglio delle loro forza un omaggio degno di questo nome ad uno dei loro personaggi preferiti. Questa è la prima di tre parti dello Speciale Dylan Dog #338 Fest, e come primo post, si decise di partire con il botto: una storiella breve dedicata a Dylan Dog scritta a quattro mani intitolata "Accade Dopodomani", piena di azione, citazioni e horror a manetta, che qui vi si riporta per intero.

Accade Dopodomani

di
Giulio Lepri & Simone Pozzoli

Capitolo 1: Paura

È la notte del 27 Ottobre. Due minuti a mezzanotte. Piove.
È la notte del 27 Ottobre. Un minuto a mezzanotte. Ho paura.
Dong!
Sobbalzo un attimo, leggermente. È mezzanotte.
È il 28 ottobre adesso, e nessuno sa che ho paura.
Fin qui tutto bene.
Dylan Dog uscirà domani.
E’ il 28 Ottobre 2014. Sono sveglio. E in uno stato emozionale tra il preoccupato e l’inquieto: tipo quando sai che devono interrogarti e, puntualmente, non sai un cazzo.
La pioggia becchetta l’appartamento, come centinaia di persone gentili che bussano alla tua porta, e la notte proietta nella mia stanza giochi di ombre e luci che sembrano uscite da un fumetto di Frank Miller.
In gola si dipinge la secchezza, voglio una birra. Mi serve del coraggio liquido. Perché ho bisogni di coraggio per affrontare… domani.
Giro confuso per la stanza, nervosamente; sbuffo, mi agito, sbuffo e mi agito nuovamente.
Sul tavolo, buttato lì come una cosa vecchia, sta aperto il giornale sulla pagina di cronaca nera del giorno: «Il Mostro uccide ancora. Trovata un’altra prostituta morta. La polizia che fa?».
La notizia mi fa come suonare un campanello nella testa, ma non riesco a capire: di che si tratta? Mi rimbomba nelle tempie come un senso di allarme e non capisco perché dovrei spaventarmi.
«Uaaaaargh!»
Sembra l’urlo di una donna a cui stanno sciogliendo gli occhi nell’acido solforico e invece è il mio campanello; non capisco: perché l’ho sentito in quel modo, forse… deve essere stata un’impressione. In ogni caso: chi può mai essere a quest’ora?
La domanda mette le radici alla paranoia. Respiro affannosamente. Deglutisco, e quando la saliva scivola nella mia gola mi regala la sensazione di aver ingoiato una scatola di spilli.
Mi incammino verso la porta, e più la distanza si accorcia, più la paranoia sale, più la mia mente mette la quinta e parte per di quei viaggi mentali che ti raccomando. Immagino di trovarmi fuori dall’appartamento i personaggi più disparati: Chewbacca, Corrado Guzzanti, Pantera Nera, Osvaldo Paniccia.
Allungo il braccio tremolante. La mano tocca il pomello. Respiro profondo mentre chiudo gli occhi. La pressione che sento è tale che potrei cominciare a dire cose a caso, giusto per sfogarmi un po’, «Golconda! Ramblyn! Malestorm!». Le grido nella mia testa per sentirmi meno scemo.
Spingo verso il basso e apro.
«Servizio in camera!», grida un sosia di Grucho Marx con degli occhi arancione brillante e l’alito condensato color rosso che esce dalla bocca, «A causa della crisi, possiamo cibarla solo con un cibario. Poco male! Meglio un cibo di carta che un cibo di ca…».
Il respiro mi si taglia a metà, non gli lascio finire la frase. Gli chiudo la porta in faccia e cerco di andarmene lontano dall’ingresso; ma come volto le spalle alla porta, la situazione precipita.
Una donna, un’immagine di donna dai capelli neri e gli occhi azzurri come un fantasma, si riflette nello specchio nell’ingresso. Ma l’immagine si muove, è come se volesse passare da questa parte, attraverso lo specchio.
Cerco una via di fuga mentre un braccio esce dallo specchio e si dirige verso di me. Vorrei scappare ma non riesco, sono bloccato, paralizzato come da una forza esterna. La donna muove un passo fuori dallo specchio e entra nel mio mondo, nel mondo reale.
Sudo cubetti di ghiaccio mentre me la trovo di fronte: è bellissima, sembra di un’altra epoca, odora di mare e di antichi galeoni, e di mistero. Ma che cosa ne so io di antichi galeoni? Mi sto lasciando suggestionare, è tutta sugges…
«’Ccipicchia ti ho fatto paura? Ma non devi avere paura, non voglio farti del male»
Mi accarezza il viso e, con dolcezza, appoggia le sue labbra sulle mie.
Non oppongo resistenza, assisto alla scena impotente, quasi come se fossi io il fantasma uscito dallo specchio e tutto questo non fosse reale. Già. Perché non è reale, devo convincermi di questo.
Poi mi si chiudono gli occhi.

Capitolo 2: Il Giardino delle Illusioni

Riapro gli occhi e sono sdraiato in quello che sembra una specie di parco.
Guardo meglio: oche, Fox Terrier che rincorrono le oche, gente che scappa urlando, ufficiali dell’esercito di sua maestà che al posto della testa hanno… un occhio gigantesco?
Scuoto la testa come per risvegliarmi da un incubo e improvvisamente non c’è più niente intorno a me. Sono solo io in mezzo a questo parco enorme. Ok, sono a posto. Sono right, right.
Certo, penso fra me e me, se ci fosse qualcuno – magari – potrei capire dove mi trovo, o come ci sono arrivato…
«Qualcuno ha chiamato il diavolo? In cambio della vostra anima posso fare tutto. L’unica cosa che non faccio sono i coperchi»
«Ancora tu?»
«Mi conoscete? Beh, sono una persona celebre dopotutto, il mio nome è Pinco Pallino».
Di fronte a me, mani dietro la schiena e sigaro penzolante dalle labbra da cui fuoriesce un inquietantissimo fumo rosso, sta ritto il sosia di Groucho Marx.
«Cosa vuoi da me?»
«Lo sai perché George Washington fu sepolto ai piedi di una collina? Perché era morto!».
«Io non capisco… bloody hell, che cavolo sta succedendo? Chi sei tu e dove mi trovo?!»
Mentre il baffone davanti a me farfuglia freddure e nonsense, mi rendo conto di aver detto parole strane: Right, bloody hell, espressioni tipicamente britanniche che non mi appartengono minimamente. Per la prima volta nella mia vita rimpiango di essere una persona abbastanza razionale, vorrei tanto esser preda di un attacco di panico, così da avere una buona scusa per impazzire.
Il Grucho Marx fac-simile qui di fronte a me continua a stordirmi con la sua parlantina a mitraglietta, mente nella testa mi rimbalzano domande come palline da tennis: Perché sono qui? Cosa ci faccio qui? Dov’è il qui? …E chi diamine è questo qui!? Goddamnit, cos’è questo istinto che viene dal profondo? Cos’è questa sensazione vulcanica di un desiderio oscuro… voglia di un desiderio sbagliato.. questi cattivi pensieri. Sento come lo sguardo di Satana sulla mia anima.
Nella mia mente si dipingono immagini macabre, fantasie nere, riflessi di morte, feste di sangue, accompagnate da una sinfonia mortale. Vengo troneggiato dal fastidio…non so cosa vuol dire, ma improvvisamente digrigno i denti, ringhio, vorrei aprirmi l’intestino, cavarmi gli occhi, graffiarmi la faccia, strapparmi i capelli, mangiarmi le mani dal nervoso fino a raggiungere l’osso…e ammazzare questo idiota!
«Ehi! Che fate, mi mettete le mani addosso? Siete gentile ma ho già la camicia che mi tiene caldo, non ho bisogno di una mano per…»
«Stai zitto! Non fai ridere!»
«Ma come no? Tutti siamo piccoli comici! E ogni comico ha bisogno della sua spalla, altrimenti gli cade il braccio»
«Non si scappa…non si sfugge…» dice improvvisamente una voce dal nulla.
Dal tono sembra ferita e malandata, «La morte è tutto, la morte è niente, è l’eterno lutto di ogni gente. Che arrivi lenta, o arrivi veloce, la morte ti accoglierà a gran voce. Il sorriso dell’Oscura Signora ti colpirà, e leggiadro via ti porterà, in un mondo che presto è qua. In una notte senza fine, e lontano dalla luce, della pace eterna potrai gioirne. Partita con la morte per evitar cosa c’è oltre la morte, ma è tutto inutile sfidare la sorte: abbraccia cosa viene dopo mezzanotte».
«Bloch! Non hai una bella cera, amico mio. O se ce l’avevi, c’era prima, adesso s’è sciolta».
Mi giro e un uomo di mezza età nudo e dall’aspetto malandato, quasi moribondo, tenuto al guinzaglio come un cane da una signora vestita di puro latex nero s’avvicinano a noi. Lascio andare il buffone.
«Perché?», è l’unica cosa che riesco a estrapolare dal turbine di domande che vorticano nella mia mente.
«Perché questa è la mia natura. E poi, non siamo tutti schiavi di qualcosa? O di qualcuno?»
Come per magia, sono vestito proprio come Dylan Dog: esattamente come lui.
«Giuda Ballerino!» esclamo. Di getto. Come…se fosse cosa mia…
«Vedi? Anche se si chiama giardino delle illusioni, questo posto è molto più vero di quanto credi. Del resto, chi siamo noi per dire cosa è illusione e cosa no?»
«Ma…accade domani… io…non sto capendo…o forse non ho mai capito?»
«Dailan, ma che dici? Hai la febbre?»
«Dailan? Ma tu…adesso sei bionda? Ma come…ma io sono Dylan! No, aspetta…ero Giulio…o forse ero Simone? Chi ero? Chi sono!? Cosa sono!?!?».
Scappo. Non so dove, ma scappo. Fuggo lontano. Devo mettere più metri possibili fra me e questa follia, trovare un senso, o una via di fuga…
«Che cazzo succede?!», mi guardo intorno e il mondo è impazzito, di nuovo.
La gente si sta ammazzando per strada, in preda a una pulsione omicida irrefrenabile; quasi come posseduti, una moltitudine di uccisori si trova intorno a me, ma in qualche modo riesco a passare inosservato in mezzo al caos.
Correndo scorgo una statua di Peter Pan dagli occhi indemoniati sporca di graffiti macabri e volgari. Improvvisamente tutto si fa chiaro e 2+2 torna a fare quattro: questo è Hyde Park. Siamo a Londra. La Londra di Dylan Dog.
Mi serve un angolo tranquillo per pensare, per riflettere.
Esco dal parco e trovo rifugio in un negozio di elettrodomestici, scavalco la vetrina distrutta pestando cocci di vetro con le mie Clark’s beige e mi rintano dietro il bancone sotto la cassa, in un punto in cui nessuno può vedermi, appoggio i gomiti sulle gambe e unisco le punte delle dita delle mani di fronte ai miei occhi; trovo questa posizione insolitamente comoda e mi aiuta a ragionare.
Sono a Londra, nella Londra di Dylan, devo esserci arrivato attraverso lo specchio da qui è uscita quella donna così strana… Morgana, già! Morgana viaggia sempre attraverso il tempo e lo spazio nelle storie di Dylan, deve essere stata lei. Ma come posso tornare a casa? Se la ritrovassi forse… Ma come? Mmm… devo trovare un modo.
Allora, sono in una dimensione parallela, e devo tornare a casa. Ho incontrato Morgana, Groucho, Bloch, Mater Morbi e persino Bree Daniels. Manca soltanto…
«Ti ho stanato finalmente Dylan, ecco dove ti eri cacciato!»
Una voce riecheggia sinistra nel piccolo negozio. Mi sporgo quanto basta e vedo un uomo magro, emaciato, in abito scuro e con un cravattino alla texana:«Xabaras!».
Il Killer di turno non poteva che essere quel pazzo che adesso mi punta la pistola in fronte sghignazzando:«Ti ucciderò figlio mio, e poi ti darò il mio siero della vita eterna, e finalmente vivremo insieme per sempre: come una vera famiglia, ahahahah!»
Frugo le tasche alla disperata ricerca del revolver, ma proprio come nel fumetto Dylan non porta mai con sé la sua arma ma gliela lancia Groucho all’ultimo. Così mi sporgo dal bastone, fiducioso che la follia in cui sono capitato farà il suo dovere e il mio baffuto sottoposto mi lancerà l’arma al momento giusto.
Socchiudo le palpebre e inspiro profondamente.
Andrà bene. Andrà tutto bene. Andrà tu…
Bang!
«Ahhh!»
Apro un occhio a metà. Xabaras è stato disturbato da qualcosa all’ultimo momento e ha sbagliato il colpo.
Il mio salvatore non ha i baffi, ma quattro zampe e una coda… «Botolo!» esclamo riconoscendo il levriero afgano amico di Dylan.
La pallottola si imbuca in uno stereo polveroso che, posseduto dallo spirito del Jukebox di Fonzie, si accende sparando a tutto volume Don’t stop me now dei Queen.
Approfitto della confusione per agguantare da uno scaffale un frullatore e spaccarlo in testa al mio nemico con l’aiuto del fido Botolo.
Xabaras ora giace a terra, forse stordito o forse morto, mentre il cane scodinzola con gioia per salutarmi. «Bravo ragazzo, mi hai salvato la vita» gli sussurro grattandogli la testa, nel frattempo ho una rivelazione: se c’è Botolo allora ci deve essere anche lui.
Lui può portarmi a casa, e c’è solo un posto dove può essere in questo caos.

Capitolo 3: Craven Road N° 7

La piccola casa in mattoni rossi si trova proprio davanti a me.
Ho dovuto rubare una cartina in un'edicola per trovarla, ma l'edicolante era piuttosto
impegnato a farsi una collana con l'intestino di una signora che si era lamentata per il resto sbagliato, così non aveva fatto caso a me.
Frugo nelle tasche sperando di avere più fortuna che con la pistola, ma la storia è sempre quella: Dylan è il solito smemorato.
Quasi sono felice però: ho finalmente una scusa per sentire davvero il famigerato campanello. Ma mentre allungo il dito per premerlo la porta si apre da sola con un fastidioso scricchiolio sinistro.
Varco la soglia, ormai sono pronto a tutto, e in fondo al corridoio scorgo due piccoli occhi verdi scintillanti in mezzo al buio.

«Non avere paura, vieni avanti, ti stavo aspettando».

Mi accoglie una voce profonda, sicura, ma anche un po' severa. Mi sento un po' strano ma decido di avvicinarmi. Così lo vedo.
Seduto sulla poltrona in soggiorno, mentre agita sinuosamente la coda nera,Cagliostro si trova proprio davanti a me, Finalmente potrò tornare a casa. Forse.


Il campanile della piazza segna mezzogiorno, e il promemoria del cellulare dice che è il 29 Ottobre 2014: oggi è uscito Dylan Dog.
Confuso su come sia tornato nel mio appartamento, mi alzo dal letto e mi vesto alla rinfusa, sollevato dal non trovare sparsi in terra camicie rosse o giacche nere di dubbia provenienza. Scendo in piazza focalizzandomi solo sull'acquisto del nuovo Dylan, e lascio che questo pensiero mi faccia mi impedisca di ricordare quello che ho... Sognato? Vissuto? Interpretato? O forse ricordato? Al momento, voglio solo dimenticarlo.

Arrivo al chiostro, sgancio i soldi e l'edicolante mi serve il #338; ora voglio solo rilassarmi ed accompagnare la lettura con un bel thè bollente, poi potrò scervellarmi e capire quello che ho visto, e soprattutto, chi.
Ringrazio l'edicolante, che se no si offende e mi fa il sovrapprezzo per ripicca: «Hamlin! Gentile come sempre». 
Poi mi si gela il sangue nelle vene per quello che ho appena detto.
Mi giro e quel che vedo è solo Safarà che scompare, insieme al rieccheggiar di una voce che dice: «A buon rendere, Signor Dog». 

Rimango di sasso, immobile e prigioniero di sensazioni contrastanti: meraviglia, stupore, panico, ansia, curiosità, paura. Non riesco a trovare un senso o un determinato perché a tutto questo: anche se non ho una mente scientifica, tutta la logica, tutto il senso e l'ordine mi crolla addosso. Molte, troppe domande sono senza risposta, e io sono troppo esausto e sfinito per trovare una risoluzione a questo enigma, mi arrendo all'evidenza che questa cosa sia semplicemente successa e che ora sia parte di me, come un'arma a doppio taglio: emozionato sogno e terrificante incubo.

E come diceva H.G. Wells"L'uomo non dovrebbe consentire all'orologio ed al calendario di offuscare il fatto che ogni momento della propria vita è un miracolo, ed un mistero, anzichéno".

FINE
dell'episodio 



E allora? Che ve ne pare, cari Teleguardonissimi? Piaciuta la storiella? Sia che si, sia che no, esprimetevi facendocelo sapercelo con un commentino qui sotto.

- Symo & Penna Stanca

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