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giovedì 25 maggio 2017

Radiofreccia: la recensione (Pick A Card-Cer #110)

Continuiamo con la nostra sfilza di film che sto guardando in questi giorni? Ovvio che si! Ehi...un momento! Ma è tutta qui la tua introduzione? Deh, inventatevela voi una nuova introduzione ogni giorno! Vai con la recensione di RADIOFRECCIA.


Trama:
Davanti al microfono, Bruno informa gli ascoltatori che quello è l'ultimo giorno delle trasmissioni di RadioFreccia. Siamo nel 1993, la radio chiude dopo diciotto anni di attività, e Bruno vuole spiegare perché ha preso quel nome. Ma la spiegazione non può essere fatta in modo riassuntivo, poiché il perché dietro al nome RadioFreccia c'è una profonda storia di vita vissuta e che coinvolge anche i suoi amici e la sua vita privata. Torna allora indietro con la memoria al 1975.

Il mio Parere:
Si, Radiofreccia. Si, il film di Luciano Ligabue, il "cantante" Coreggio che tanto non ci piace e ci piace anche un sacco che non ci piaccia. Sta volta - dove per sta volta equivale al 1998 - Ligabue ne imbrocca una: e, ironia della sorte, non nella veste che gli compete. Acidume a parte iniziale a parte per strappare un po' di ridere da alto cabert di quart'ordine, la pellicola diretta da un Ligabue nella doppio ruolo di regista e sceneggiatore è quello che posso definire uno dei miei film preferiti. Purtroppo l'astio per il Liga musicista non passerà mai per la povertà delle sue canzoni e per l'isterismo dei suoi fan, fattore che ha contribuito a ingigantire una bravura poco più che mediocre. Ma per il Liga regista, soprattutto di Radiofreccia, beh, detto sinceramente e senza paura di percosse, ci sarà sempre enorme stima e ringraziamento. Il perché è un po' personale, ma ve lo si scrive lo stesso. Come diceva Alan Moore, le storie devono sembrare vere a livello emotivo, anche se non sono mai accadute. Quindi, facciamo vedere cosa le storie lasciano alle persone, partendo da un'altra passione del sottoscritto: i fumetti.

I generi fumettistici preferiti dagli Italiani descrivono la mentalità della loro nazione. Mentre negli Stati Uniti fioriscono i supereroi, in Italia è comune che gli Italiani leggano comics Americani ma decisamente raro e strano immaginarsi questi eroi che operino in Italia. Non c'è una vera spiegazione a tutto ciò, semplicemente suona quasi surreale pensare all'Italia come un paese avente supereroi; così, mentre in Italia cresceva questa mancanza, la lacuna veniva colmata con altri tipi di eroi, sicuramente più dark, piene di falle e sfumature come Diabolik o Dylan Dog. Uno stesso discorso lo si può fare con il cinema. Mentre negli anni '80 gli USA sdoganavano nel mondo i teen drama con The Breakfast Club, nel Bel Paese si guardava con ammirazione a capolavori del grande schermo come l'appena citato film di John Hughes, ricollocare una narrazione del genere in Italia suonava ancora troppo poco realistico. E' chiaro che agli Italiani piacciono cose con una forte dose di realismo e plausibilità, altrimenti non si sarebbe mai spiegato perché un Italiano vede male un Uomo Ragno saltellare tra un tetto e l'altro, ma vede bene un Kriminal sgozzare a destra e manca. A riempire questa lacuna, ci pensa Ligabue.


Radiofreccia è la risposta Italiana di film come The Breakfast Club, uno "spaghetti teen drama" che racconta pregi e difetti/luci e ombre della gioventù settantina e degli anni dei primi, grandi scontri generazionali, oltre che due decadi di rivoluzione culturale. Quello che mancava a The Breakfast Club, secondo la visione di un Italiano, era appunto la mancanza di una visione tour court; la storia era filtrata solo dal punto di vista dei ragazzi, perché l'obiettivo era fare un film per ragazzi con dei ragazzi (e infatti, le pellicola è un capolavoro per quello). Radiofreccia è si un film per ragazzi con dei ragazzi, ma è anche e soprattutto una ballata amara che racconta una gioventù che subisce le influenza di ciò che circonda i protagonista: ragazzi, per l'appunto, divisi tra il rispetto e la riproduzione degli insegnamenti dei loro genitori e seguire la strada che i loro coetanei stavano costruendo tra di loro e per loro. Per valorizzare tutto ciò, il film non poteva che contenere e mostrare un linguaggio forte e delle scene altrettanto d'impatto, cose che valorizzano l'alto contenuto realistico, trasformando Radiofreccia in un film decisamente sincero. Forse è proprio per questo che, in questa città-stato che è l'Italia, non c'è posto per gli eroi. Per quanto autentici nelle loro intenzioni, agli occhi di questa nazione appaiono troppo finti, o addirittura troppo belli per essere veri. Gente come Diabolik o Kriminal, invece, sono cose di tutti giorni e partono, anzi, da presupposti quotidiani ed odierni come la criminalità; li si preferisce per questi e, forse, anche per il pensiero autolesionista che forse ce lo meritiamo.

Radiofreccia, film che segna l'esordio alla regia di Luciano Ligabue e di Stefano Accorsi nel mondo del cinema, è un film che dipinge senza troppo fronzoli e senza l'utilizzo di troppi filtri la vita di quegli anni, prendendo come spunto l'omonimo libro sempre di Ligabue che raccontava episodi autoconclusivi (un po' biografici, un po' no) ambientati nel suo paese d'origine. Ma più che riuscire nel raccontare gli eventi in se, la pellicola fa spettacolo e faville nel far passare allo spettatore le sensazioni che chi ha vissuto quegli anni ha potuto provare: una profonda sensazione di vuoto e smarrimento, sensazione passata in eredità a quella degli anni '90, una generazione che non ha mai saputo trovare il suo posto, se non quello di essere fuori posto e sentirsi viva solamente vivendo azioni sul momento. Ed è qui che arriva il contributo di Radiofreccia.

Fin da piccolissimo, dentro di me, ho sempre sentito un vuoto, un vuoto che ho sentito riempirsi in poche occasioni. Questo film, e diverse esperienze di solitudine e dolore amoroso, mi hanno fatto capire che, bene o male, tutti nasciamo con un vuoto. C'è chi lo sente di più, chi meno e chi non lo sente affatto. Per chi lo sente, ha capito che l'importante, nella vita, non è sentire quel vuoto riempito ma avere la certezza che, da qualche parte, c'è qualcuno che, quando lo senti, sa come riempirtelo. Radiofreccia (per me, eh) è uno di quei film che non si impegna tanto per riempirti il vuoto, quanto più si impegna per ricordarti che quel vuoto c'è. E ti dice come lui lo riempirebbe.


E' un po' come quell'amico che dice sempre e solo la verità, non la verità che ti piacerebbe sentire. Poi ti dice "io lo farei così, poi oh, fai tu". 

Conclusioni:
Un capolavoro. Punto. 

- Symo

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