Giusto Domenica il sottoscritto è andato a vedere Ghost In The Shell, remake Americano del capolavoro multi-piattaforma di Musamune Shirow. Dopo la visione, non poteva non mancare la mia recensione. Quindi, bando alle chiacchiere e parliamo subito di questo film.
Il Maggiore è un essere unico nella sua specie, il prototipo di quello che molti potrebbero diventare in futuro, e un'arma potentissima. Recuperato da un terribile incidente, il corpo biologico del Maggiore è stato sostituto con uno interamente artificiale, ma il ghost, cioè l'anima, è rimasta la sua. Da qualche parte, la parte più importante, il Maggiore è ancora umana, anche se (e proprio perché) la sua natura le pone dei dubbi che la tormentano. Li sfrutta Kuze, un misterioso terrorista, che la Section 9, capitanata dal Maggiore e gestita dalla Hanka Robotics ha l'ordine di trovare ed eliminare.
E questa qui sopra era la trama. Prima di cominciare, piccola premessa onesta. Per chi ha letto uno dei consueti post in cui aggiorno il popolo leggente su quali film mi frega vedere (questo qui) saprà sicuramente che il trailer di Ghost In The Shell mi aveva rassicurato parecchio. Vedendo un po' la Scarlett Johansson che interpretava Motoko Kusanagi alleggeriva davvero il cuore, tant'è che l'effetto Transformer, o peggio ancora, quello di Resident Evil sembravano lontani anni luce e ormai un brutto ricordo. Purtroppo però, Ghost In The Shell non si è comportato benissimo e - nonostante qualche pregio - bisogna dire che sono uscito dalla sala abbastanza scontento della visione. Certo, quei tremendi giorni sono ancora lontanissimi e cosacce come Resident Evil sembrano morti e sepolti in una foiba. Però Ghost In The Shell è forse il film che serviva per porci più seriamente una domanda: che problemi hanno gli Americani con le opere Giapponesi? Perché, indubbiamente, c'è un problema di comunicazione tra le due nazioni.
Partendo dai difetti, purtroppo il film cade sull'aspetto principale del franchise di Shirow. Anzi, su L'Aspetto principale di tutto il franchise, quello su cui Ghost In The Shell ha costruito la sua fortuna: il concetto di ghost e di shell, metafora che esprimere tutta la filosofia del mangaka riguardo il rapporto tra l'umanità e la tecnologia. Purtroppo bisogna scendere a patti col fatto che Ghost In The Shell è una delle cose più Giapponesi che ci siano; e non contento, utilizza tutta la sua nazionalità di provenienza e la sua capacità di espressione a piene mani, utilizzando anche la società Giapponese stessa (sia per come è vista dai residenti della nazione, sia per come è vista all'estero) come elemento narrativo. Ghost In The Shell però è anche un prodotto del passato, creato in un momento dove il Giappone era la terra dove il futuro era già arrivato. Hollywood ci ha sempre bombardato un sacco con questa filosofia. Non mi credete? Prendete allora un film americano a caso degli anni '80. Di che nazionalità è la multinazionale bastarda di turno? Per l'appunto, Giapponese (anche qui, se non mi credete, riguardatevi Blade Runner).
Il Giappone di Ghost In The Shell era praticamente la rilettura in chiave molto tecnologica e cyberpunk dell'occidentalizzazione della nazione, epoca dove il Sol Levante perpetrava la fine dei samurai, dove il ferro della katana periva sotto i colpi del piombo sparato dai cannoni e dalle armi da fuoco di Europei e Americani. Se in passato il "nemico" era l'Occidente, nel manga/anime ora è la tecnologia a minacciare la definizione di umano e di Giapponese. In sintesi, l'opera in questione non è stato soltanto una storia portata all'attenzione dello spettatore sotto diverse forme (film, anime ecc.) ma è anche e soprattutto un prodotto culturale che ha saputo mostrarci in anticipo l'altra faccia della rivoluzione tecnologica, dove il progresso tecnologico è uno spasmo continuo tra la paura della morte e quella della perdita della propria identità: una crisi esistenziale che mette in dubbio la definizione stessa di essere umano. Detto in parole poverissime, Ghost In The Shell è un parente strettissimo di Black Mirror, solo con più pipponi mentali.
Senza ombra di dubbio, la crew, il cast ecc. hanno dimostrato di aver capito molto bene Ghost In The Shell, soprattutto se si guarda il film dal punto di vista stilistico e visivo. Però, purtroppo, dimostra di non averlo saputo spiegare con le dovute parole al pubblico. Sopratutto nello spiegare il concetto di ghost e di shell, i concetti sicuramente più particolari, interessanti e riconoscibili dell'opera. Il titolo Ghost In The Shell è ripreso da un libro di filosofia psicologica di Arthur Koestler intitolato The Ghost In The Machine; il testo discuteva riguardo il dualismo cartesiano mente-corpo, giungendo alla conclusione che il "fantasma nella macchina" del titolo è, ovviamente, la coscienza umana all'interno del corpo. Ma che cos'è la coscienza, esattamente? Per Ghost In The Shell, l'anima è quell'elemento etereo e invisibile che ci fa sentire umani, impossibile da replicare e duplicare. Chiaramente, questi elementi non sono uguali per tutti ed è per questo che il manga/anime lo chiama ghost: perché la concezione di ciò che è un fantasma, è diverso per tutti noi ed assume diverse forme, partendo però da una definizione grammaticale comune. Di conseguenza, lo shell è il guscio dentro cui risiede il ghost, la nostra anima.
Purtroppo, la spiegazione fornita dal film si limita a: "Si, ehm, il Ghost... Beh, è quella roba li, no?" non facendo minimamente accenno - o addirittura non facendolo con lo stesso impatto del materiale originale - a tutta la prolissa spiegazione che mi è toccato scritto qui sopra (che cazzo, i film me li fanno in una qualche maniera, poi tocca al sottoscritto metterci un ombrello quando piove merda). Addirittura si potrebbe dire che la sceneggiatura (per chi vuole essere cattivo) banalizza il tutto attraverso semplici pistolotti in croce risolti in men che non si dica, risolte giusto in tempo per passare alle esplosioni e agli sparamenti. Tutto ciò perché manca il tocco nipponico all'opera, sempre per i motivi delineati sopra, ma sopratutto perché si vuole concentrarsi su altro e confezionare prodotto di tutt'altro tipo. E non va bene, soprattutto se parli di un prodotto con una identità precisa, conosciuto e apprezzato proprio per quello.
Si, per fortuna questo l'abbiamo evitato. Ma andiamo avanti.
Rupert Sanders, il regista che si è beccato lo stuzzicadenti più corto per affrontare questa sfida, se l'è cavata egregiamente su molti aspetti di questo rifacimento targato 2017. Purtroppo però capitombola proprio su questo. C'era bisogno di qualche assistente alla sceneggiatura che fosse Giapponese o che avesse lavorato a qualche precedente incarnazione di Ghost In The Shell, così da ovviare tutto ciò.
Altro problema, di pari importanza con quello sopra descritto, è la protagonista. E non perché è la Johansson, sia chiaro. L'attrice si è semplicemente attenuta alla scrittura del personaggio fornitole, in modo che potesse usare la sua sopraffina arte recitativa per rappresentare il personaggio ne miglior modo possibile durante la narrazione della pellicola. E chi non crede che sia brava, si guardi Her. Tutti bravi a caratterizzare un personaggio avvalendosi del linguaggio del corpo e del suo parco di gestualità. Ma quando ti tocca fare un personaggio che è solo una voce di una Intelligenza Artificiale che: 1) non compare mai una volta, neanche per scherzo, sullo schermo; 2) deve esprimere la sua personalità e sentimenti solo usando la modulazione della voce; 3) riesce a farti ridere, piangere, emozionare e pure eccitare, solo usando le sue corde vocali... Beh, sei Brava. Punto, caso chiuso, class dismissed, assolo di Eddie Van Halen, tutti a casa. Il problema, più che altro, sta proprio nella scrittura della protagonista.
Motoko Kusanagi l'hanno spiegata e le hanno dato una origine, quando nel materiale originale il suo passato e la sua provenienza è sempre stata avvolta nel mistero. Nonché la trama in sé ponesse chissà quali interrogativi riguardo al passato del Maggiore, eh. Con l'espressione "avvolto nel mistero" intendo dire che il manga/anime non da mai occasione allo spettatore/lettore di chiedersi da dove arrivi il personaggio e quale sia la sua storia; Ghost In The Shell, insomma, non fornisce risposte o possibilità di averle sui suoi personaggi, così nessuno fa domande. E va bene così. Capisco che, per una legge non scritta delle produzioni USA, tutto debba avere un punto in cui le cose e le persone si originano, però dare un passato e un retaggio al Maggiore ha impoverito il fascino del personaggio proprio perché si cerca di dare qualcosa per cui il personaggio stesso non è biologicamente preparato ad avere. A volte, non serve dire da dove arriva qualcosa/qualcuno. A volte è così e basta, punto.
In più, in Ghost In The Shell i personaggi messi a disposizione della trama, non sono altro che burattini nelle mani della tematiche principale dell'opera. Non è importante da dove arrivano, a nessuno fondamentalmente frega: a nessuno fondamentalmente deve fregare. L'importante è che, all'interno del grande palcoscenico messo a disposizione dalla storia, le marionette compiano i passi prestabiliti e dicano le battute scritte per valorizzare l'argomento centrale. Anche questo, non succede (sempre per i motivi di prima) nonostante l'enorme bravura dell'attrice protagonista, che ha dato ancora una volta prova di essere una professionista coi controcoglioni.
Esaurito il discorso dei difetti, poco ci resta di cui parlare. I discorsi poi vertono tutti sui costumi, sulla scenografia, gli effetti speciali, la location e le citazioni alle passate incarnazioni dell'opera: sopratutto al primo film animato del 1995. Beh, che dire? Su questo aspetto non si possono che spendere i migliori complimenti per aver riprodotto con una fedeltà maniacali il guardaroba proveniente dal manga/anime, oltre che aver orchestrato delle sequenze di combattimento riprese pari pari dall'anime:
Ma anche altre scene, come l'inizio:
Sopratutto la scenografia è ciò che lascia più spiazzati, oltre che visivamente sorpresi e compiaciuti. La pellicola riesce (almeno sotto questo aspetto) a rendere vero, realistico e possibile l'universo narrativo di Ghost In The Shell, omaggiando e ispirandosi a tutte le opere che hanno contribuito a creare l'immagine di un Giappone caotico e sporco, tecnologico ma ancora industriale, dove inquinamento e consumismo moderni non hanno ceduto il passo a un futuro asettico e casto, tutt'altro: si sono rafforzati al servizio delle necessità primordiali umane.
Graficamente, si citano le insegne pubblicitarie tridimensionali alla Blade Runner, ma anche il groviglio di palazzi di The Long Tomorrow di Moebis, dediti a formare una metropoli caotica, incasinata, casinara e preda del melting pot di razze e culture, fornendo una città che mescola diversi aspetti di diverse città Giapponesi. Il risultato è praticamente quello di avere un supermercato fatto a palazzi e vie, dove il possibile acquirente ci può trovare di tutto: anche cose non proveniente dal suo microuniverso. Ma che, in fondo, suscitano in lui un senso di disagio e alienazione per così tante possibilità ottenute tutto e subito, lasciandolo con nient'altro che desolazione in una location che ha così tan... troppo, da offrire.
In conclusione, possiamo dire ciò. Indubbiamente, per non saper leggere e scrivere (tradotto: per non conosce Ghost In The Shell) il film può anche starci e, anzi, fa conoscere cose nuove e una nuova faccia della fantascienza cyberpunk. Però, anche chi non conosce il materiale originale può avvertire che il film è un opera che non sa esprimersi al di là dello stile con cui si presenta, mancando del tutto tematiche e contenuti: che erano la cosa più importante per questo film. Bello tutto il resto, i costumi, le scene d'azione, la Scarlett Johansson ecc. Però Ghost In The Shell è soprattutto un pensiero, un idea, che viene però avvilita del tutto. 106 minuti di sentimenti contrastanti, tra amarezza per una filosofia spicciola ed esaltazione per una riproduzione stilistica impeccabile. Per dirla con le parole dell'opera in questione, lo Shell c'è tutto, ma il Ghost se lo sono portati via i Ghostbusters.
- Symo
Partendo dai difetti, purtroppo il film cade sull'aspetto principale del franchise di Shirow. Anzi, su L'Aspetto principale di tutto il franchise, quello su cui Ghost In The Shell ha costruito la sua fortuna: il concetto di ghost e di shell, metafora che esprimere tutta la filosofia del mangaka riguardo il rapporto tra l'umanità e la tecnologia. Purtroppo bisogna scendere a patti col fatto che Ghost In The Shell è una delle cose più Giapponesi che ci siano; e non contento, utilizza tutta la sua nazionalità di provenienza e la sua capacità di espressione a piene mani, utilizzando anche la società Giapponese stessa (sia per come è vista dai residenti della nazione, sia per come è vista all'estero) come elemento narrativo. Ghost In The Shell però è anche un prodotto del passato, creato in un momento dove il Giappone era la terra dove il futuro era già arrivato. Hollywood ci ha sempre bombardato un sacco con questa filosofia. Non mi credete? Prendete allora un film americano a caso degli anni '80. Di che nazionalità è la multinazionale bastarda di turno? Per l'appunto, Giapponese (anche qui, se non mi credete, riguardatevi Blade Runner).
Il Giappone di Ghost In The Shell era praticamente la rilettura in chiave molto tecnologica e cyberpunk dell'occidentalizzazione della nazione, epoca dove il Sol Levante perpetrava la fine dei samurai, dove il ferro della katana periva sotto i colpi del piombo sparato dai cannoni e dalle armi da fuoco di Europei e Americani. Se in passato il "nemico" era l'Occidente, nel manga/anime ora è la tecnologia a minacciare la definizione di umano e di Giapponese. In sintesi, l'opera in questione non è stato soltanto una storia portata all'attenzione dello spettatore sotto diverse forme (film, anime ecc.) ma è anche e soprattutto un prodotto culturale che ha saputo mostrarci in anticipo l'altra faccia della rivoluzione tecnologica, dove il progresso tecnologico è uno spasmo continuo tra la paura della morte e quella della perdita della propria identità: una crisi esistenziale che mette in dubbio la definizione stessa di essere umano. Detto in parole poverissime, Ghost In The Shell è un parente strettissimo di Black Mirror, solo con più pipponi mentali.
Purtroppo, la spiegazione fornita dal film si limita a: "Si, ehm, il Ghost... Beh, è quella roba li, no?" non facendo minimamente accenno - o addirittura non facendolo con lo stesso impatto del materiale originale - a tutta la prolissa spiegazione che mi è toccato scritto qui sopra (che cazzo, i film me li fanno in una qualche maniera, poi tocca al sottoscritto metterci un ombrello quando piove merda). Addirittura si potrebbe dire che la sceneggiatura (per chi vuole essere cattivo) banalizza il tutto attraverso semplici pistolotti in croce risolti in men che non si dica, risolte giusto in tempo per passare alle esplosioni e agli sparamenti. Tutto ciò perché manca il tocco nipponico all'opera, sempre per i motivi delineati sopra, ma sopratutto perché si vuole concentrarsi su altro e confezionare prodotto di tutt'altro tipo. E non va bene, soprattutto se parli di un prodotto con una identità precisa, conosciuto e apprezzato proprio per quello.
Rupert Sanders, il regista che si è beccato lo stuzzicadenti più corto per affrontare questa sfida, se l'è cavata egregiamente su molti aspetti di questo rifacimento targato 2017. Purtroppo però capitombola proprio su questo. C'era bisogno di qualche assistente alla sceneggiatura che fosse Giapponese o che avesse lavorato a qualche precedente incarnazione di Ghost In The Shell, così da ovviare tutto ciò.
Altro problema, di pari importanza con quello sopra descritto, è la protagonista. E non perché è la Johansson, sia chiaro. L'attrice si è semplicemente attenuta alla scrittura del personaggio fornitole, in modo che potesse usare la sua sopraffina arte recitativa per rappresentare il personaggio ne miglior modo possibile durante la narrazione della pellicola. E chi non crede che sia brava, si guardi Her. Tutti bravi a caratterizzare un personaggio avvalendosi del linguaggio del corpo e del suo parco di gestualità. Ma quando ti tocca fare un personaggio che è solo una voce di una Intelligenza Artificiale che: 1) non compare mai una volta, neanche per scherzo, sullo schermo; 2) deve esprimere la sua personalità e sentimenti solo usando la modulazione della voce; 3) riesce a farti ridere, piangere, emozionare e pure eccitare, solo usando le sue corde vocali... Beh, sei Brava. Punto, caso chiuso, class dismissed, assolo di Eddie Van Halen, tutti a casa. Il problema, più che altro, sta proprio nella scrittura della protagonista.
Motoko Kusanagi l'hanno spiegata e le hanno dato una origine, quando nel materiale originale il suo passato e la sua provenienza è sempre stata avvolta nel mistero. Nonché la trama in sé ponesse chissà quali interrogativi riguardo al passato del Maggiore, eh. Con l'espressione "avvolto nel mistero" intendo dire che il manga/anime non da mai occasione allo spettatore/lettore di chiedersi da dove arrivi il personaggio e quale sia la sua storia; Ghost In The Shell, insomma, non fornisce risposte o possibilità di averle sui suoi personaggi, così nessuno fa domande. E va bene così. Capisco che, per una legge non scritta delle produzioni USA, tutto debba avere un punto in cui le cose e le persone si originano, però dare un passato e un retaggio al Maggiore ha impoverito il fascino del personaggio proprio perché si cerca di dare qualcosa per cui il personaggio stesso non è biologicamente preparato ad avere. A volte, non serve dire da dove arriva qualcosa/qualcuno. A volte è così e basta, punto.
In più, in Ghost In The Shell i personaggi messi a disposizione della trama, non sono altro che burattini nelle mani della tematiche principale dell'opera. Non è importante da dove arrivano, a nessuno fondamentalmente frega: a nessuno fondamentalmente deve fregare. L'importante è che, all'interno del grande palcoscenico messo a disposizione dalla storia, le marionette compiano i passi prestabiliti e dicano le battute scritte per valorizzare l'argomento centrale. Anche questo, non succede (sempre per i motivi di prima) nonostante l'enorme bravura dell'attrice protagonista, che ha dato ancora una volta prova di essere una professionista coi controcoglioni.
Esaurito il discorso dei difetti, poco ci resta di cui parlare. I discorsi poi vertono tutti sui costumi, sulla scenografia, gli effetti speciali, la location e le citazioni alle passate incarnazioni dell'opera: sopratutto al primo film animato del 1995. Beh, che dire? Su questo aspetto non si possono che spendere i migliori complimenti per aver riprodotto con una fedeltà maniacali il guardaroba proveniente dal manga/anime, oltre che aver orchestrato delle sequenze di combattimento riprese pari pari dall'anime:
Ma anche altre scene, come l'inizio:
Sopratutto la scenografia è ciò che lascia più spiazzati, oltre che visivamente sorpresi e compiaciuti. La pellicola riesce (almeno sotto questo aspetto) a rendere vero, realistico e possibile l'universo narrativo di Ghost In The Shell, omaggiando e ispirandosi a tutte le opere che hanno contribuito a creare l'immagine di un Giappone caotico e sporco, tecnologico ma ancora industriale, dove inquinamento e consumismo moderni non hanno ceduto il passo a un futuro asettico e casto, tutt'altro: si sono rafforzati al servizio delle necessità primordiali umane.
Graficamente, si citano le insegne pubblicitarie tridimensionali alla Blade Runner, ma anche il groviglio di palazzi di The Long Tomorrow di Moebis, dediti a formare una metropoli caotica, incasinata, casinara e preda del melting pot di razze e culture, fornendo una città che mescola diversi aspetti di diverse città Giapponesi. Il risultato è praticamente quello di avere un supermercato fatto a palazzi e vie, dove il possibile acquirente ci può trovare di tutto: anche cose non proveniente dal suo microuniverso. Ma che, in fondo, suscitano in lui un senso di disagio e alienazione per così tante possibilità ottenute tutto e subito, lasciandolo con nient'altro che desolazione in una location che ha così tan... troppo, da offrire.
In conclusione, possiamo dire ciò. Indubbiamente, per non saper leggere e scrivere (tradotto: per non conosce Ghost In The Shell) il film può anche starci e, anzi, fa conoscere cose nuove e una nuova faccia della fantascienza cyberpunk. Però, anche chi non conosce il materiale originale può avvertire che il film è un opera che non sa esprimersi al di là dello stile con cui si presenta, mancando del tutto tematiche e contenuti: che erano la cosa più importante per questo film. Bello tutto il resto, i costumi, le scene d'azione, la Scarlett Johansson ecc. Però Ghost In The Shell è soprattutto un pensiero, un idea, che viene però avvilita del tutto. 106 minuti di sentimenti contrastanti, tra amarezza per una filosofia spicciola ed esaltazione per una riproduzione stilistica impeccabile. Per dirla con le parole dell'opera in questione, lo Shell c'è tutto, ma il Ghost se lo sono portati via i Ghostbusters.
- Symo
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