So cosa state pensando: "Perché diavolo dovremmo parlare di una introduzione, di un prefazio? Insomma, prima cosa: chi la legge? E secondo: è davvero così importante? Cosa può aggiungere una presentazione all'esperienza che il lettore si farà nel leggere il libro che tiene in mano? A meno che non sia uno veramente famoso e/o di talento, quasi tutti la saltano a piedi pari". E' anche il mio stesso pensiero. Però il Symo si è trovato (per caso) a leggere una brillante introduzione mentre sfogliava alcune pagine del libro L'Arte Della Guerra; trovandolo un intervento davvero intelligente, ho deciso di incentrare un post apposito proprio sulle introduzioni e prefazi, specchietti che ho decisamente rivalutato.
Non so se l'introduzione in questione si può trovare in altre versioni del più famoso scritto di Sun Tzu, ma nell'edizione pubblicata dalla Newton Compton Editori la trovate di sicuro. Ora, prima di riportarvi l'introduzione a L'Arte Della Guerra scritta dal gruppo collettivo di scrittori noto come Wu Ming, una introduzione...all'introduzione. C'è da dire che la valenza dei prefazi e tutti gli specchietti introduttivi vanno valutati a seconda del libro che si tiene in mano. Secondo il mio personalissimo e smontabilissimo parere, una introduzione ad un romanzo di qualsivoglia genere è un pò superflua...insomma, basta l'incipit della trama per una presentazione generale. Per un libro, invece, abbastanza filosofico come quello di Sun Tzu? Dove è necessario entrare nella testa dello scrittore e capire con che spirito e con che mentalità è stato scritto? Ecco, in questo caso, una esauriente presentazione è proprio gradita, sopratutto perchè si da così modo al lettore di capire con che spirito deve affrontare una lettura che può essere facilmente travisata a causa della diversità di pensiero/nazionalità/epoca; deve presentarsi, in parole povere, come una guida alla lettura? Precisamente. La seguente introduzione che vi riporterò è stata scritta così bene, riportando metafore, esempi ed episodi reali così azzeccati e ben ragionati, che mi ha fatto ricredere dell'utilità di questo specchietto. Spero che le righe che vi copierò vi colpiranno tanto quanto hanno colpito il sottoscritto.
Leggere Sun Tzu, liberare Sun Tzu
ovvero: il destino di un libro-feticcio in un'epoca di idioti
In mattinata, funzionari governativi e altre fonti ufficiali cinesi hanno confermato che Sun Tzu, il generale che nell'antichità scrisse L'arte della guerra, è stato ritrovato vivo in una grotta nei dintorni di Nanchino, regione dello Jiangsu, duecento miglia a ovest di Shanghai [...] Il generale è smagrito ma "complessivamente in buona salute", ha dichiarato un medico del luogo, il signor Li Xin. Quando gli è stato chiesto come fosse possibile restare vivi per duemilacinquecento anni, Li ha risposto: "L'arte della guerra è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Perché non dovrebbe essere così per il suo autore?"
- Sonshi.com, 01/04/2006
Carly Fiorina, presidente e amministratrice delegata della Hewlett-Packard Corp., una delle donne più potenti del mondo degli affari americano, sta lasciando la turbolenta azienda di computer dopo essere stata cacciata dal consiglio di amministrazione. Nella giornata di mercoledì, dopo l'annuncio, le azioni della H-P (Research) hanno registrato un +6,9% alla borsa di New York. A un certo punto lo stock ha toccato il +10,5%. "Le azioni salgono un po' perché a nessuno piaceva granché la leadership di Carly", ha dichiarato Robert Cihra, analista per la Fulcrum Global Partners. "Wall Street aveva perso ogni fiducia in lei", ha aggiunto, "e la speranza del mercato è che chiunque sappia fare meglio."
- CNNMoney.com, 10/02/2005
Carly Fiorina, che parla de L'arte della guerra dell'antico generale cinese Sun Tzu come del proprio libro preferito, non ha paura di incolpare singole persone o dichiarare inimicizie. Quando nel 1999 arrivò alla Hewlett-Packard, dopo incarichi dirigenziali nei settori vendite di Lucent Technologies e AT&T Corp, [...] promise che i profitti sarebbero aumentati almeno del 12% all'anno. Ma poi nel 2000 crollarono le dot-com e...
- The Houston Chronicle, 10/02/20005
Nel suo celebre L'arte della guerra, scritto all'incirca 2500 anni fa, il grande pensatore cinese Sun Tzu spiegò che la guerra non è una mera questione di emergenza, bensì di conoscenza e strategia lungimirante. Si può dire lo stesso delle crisi che si manifestano oggi. Con ogni probabilità esse muteranno il tessuto globale del nostro futuro. Per questo abbiamo urgente bisogno di una "arte delle crisi".
- Patrick Lagadec e Erwann Michel-Kerjan, "A new era calls for a new model", The New York Times, 01/11/2005
Il Bingfa di Sunzi (Sun Tzu) è uno dei libri più citati, osannati, consigliati, tirati in ballo e platealmente fraintesi degli ultimi decenni. Suo malgrado, è divenuto un livre de chevet per squali, aspiranti squali e fighetti che si atteggiano a squali, lettura obbligatoria nei corsi di management nonché di marketing, di branding e tutti gli altri -ing dell'odierno aziendalismo e turbo-capitalismo. (A dire il vero, il "turbo" oggi arranca e tossisce: questo è "recesso-capitalismo", e se continua così tra un po' andremo di nuovo a pedali.) Nelle librerie degli aeroporti internazionali, insogliolato fra operette di self-help e manuali su come fottere il prossimo, si può trovare uno smilzo paperback, cento pagine o poco più. In copertina, su uno sfondo di asfalto e grattacieli, appare un tizio in giacca e cravatta. Tiene all'orecchio un telefonino. Ha tratti orientali: occhio a mandorla, zigomo sporgente. Sorride. Sorride perché è un "vincente". E', come si diceva non troppo tempo fa, un "rampante". E' un guerriero del nuovo capitalismo globale. La copertina è quella di The Art of War, un'edizione britannica, Hodder/Mobius, Londra, 2006, £ 5.99. Tu, lettore, puoi essere questo guerriero, dice la copertina. Puoi essere come i cinesi e il loro PIL a due cifre. Le risposte alle tue domande sono in questo trattato del 490 a.C. Acquistalo e farai sfracelli.
C'è una tizia, tale Chin-Ning Chu, che ha costruito una carriera multi-milionaria sull'adattare Sunzi al mondo del business. E' autrice di una sfilza di best-seller con titoli come The Art Of War For Women o The Asian Mind Game. E' presidente della Asian Marketing Consultants Inc. E' discendente, dice, del primo imperatore della dinastia Ming. L'Occidente è un lupanare infestato da spettri. Sovente sono spettri cinesi. "The West" è al contempo sinofobo e sinofilo, teme e ammira la Cina, la detesta e la stima, la respinge e la indossa. Portiamo T-shirt con stampati ideogrammi e, per quel che ne sappiamo, potrebbe esserci scritto: "ATTENZIONE: HO LA DIARREA!" Talvolta, basta che qualcosa provenga dalla Cina per farne il panegirico o scagliare un'invettiva. Com'era già accaduto con gli aforismi di Mao Tse-tung (molti dei quali, in bocca a chiunque altro, sarebbero suonati come autentiche ovvietà), si è sviluppato un culto per certe frasette e immagini di Sunzi. Tutti dicono e ripetono che bisogna "somigliare all'acqua" e che "la guerra si fonda sull'inganno". Tolte dal loro contesto, tali frasi non significano né possono insegnare alcunché. L'arte della guerra è il testo più sopravvaluto e sottovalutato dei nostri tempi. Sopravvalutato perché lo si carica di aspettative taumaturgiche, salvifiche, provvidenziali: a sentire certi apologeti, basterebbe averne in saccoccia una copia per rinascere grandi strateghi. Somigliare all'acqua etc. Sottovalutato perché è un libro da cui poca gente si è dimostrata in grado di apprendere qualcosa.
Se L'arte della guerra fosse davvero la lettura più frequente, amata e ponderata da manager, capi d'impresa, dirigenti di multinazionali etc., costoro si accorgerebbero dei problemi molto prima del loro divenire "emergenze" e del loro sfociare in tracolli, disastri finanziari, crisi, esplosioni di "bolle". Se costoro fossero davvero strateghi (anziché giocatori d'azzardo che tirano a indovinare passando da una tattica angusta a un'altra ancor più angusta), non si sarebbero adagiati su un tran-tran da eterno presente dei consumi, ignorando ogni segnale d'allarme proveniente dal mondo. Al contrario, avrebbero da tempo investito sull'emancipazione dal petrolio e altre risorse non rinnovabili. Avrebbero "riconvertito" ovunque possibile. Avrebbero aggiornato i loro parametri, adeguato la loro idea di "sviluppo" alla realtà di un pianeta depredato e ormai quasi privo di risorse, per investire su una "decrescita" creativa e intelligente etc. etc. Invece, grazie alla loro brevimiranza e mancanza di strategia, la "decrescita" (processo ineluttabile, dato che stanno finendo idrocarburi, metalli e terra fertile), si annuncia traumatica e velenosa. Per tutti quanti, anche per loro. Nessuno ha già il visto d'ingresso nel mondo che viene. (E non pensiate che la sezione cinese del capitalismo globale sia più attrezzata delle altre ad affrontare la crisi. Tutt'altro. Arrivano ogni giorno esempi di miopia e ipoteche sul futuro da parte di funzionari e mandarini del Celeste Impero. Quel che accadrà laggiù darà nuove connotazioni al termine "ecocatastrofe".)
Quelli proposti sopra son periodi ipotetici un po' patetici, vuoti "what if", utopiche ucronìe. Il capitalismo non può funzionare diversamente da quanto vediamo ogni giorno. Come modo di produzione è costretto a schiacciare l'avvenire, a fingere che il futuro sia solo quel che è dietro al primo angolo, tempo-preda da catturare e divorare immantinente, alta velocità/voracità, il "lungo termine" non esiste, riposerò quando sarò...morto. Ma lo sei già. Dead Man Walking. Come quei personaggi dei cartoons (Wile E. Coyote, per dirne uno) che corrono corrono corrono e senza accorgersene superano il ciglio di un burrone ma continuano a correre finchè non si accorgono di non avere più la terra sotto i piedi, e solo allora precipitano.
La vera arte della guerra, quella di Sunzi, è incompatibile con tutto questo, richiede una mentalità contraria a quella appena descritta. I manager e gli squali di cui sopra possono solo adottarne la retorica di superficie, seguire qualche consiglio tattico secondario, ma non carpiranno quel che è davvero importante, non capiranno la lezione di fondo. Sonoprogrammati per non capirla. Sunzi non desidera la guerra né la fa desiderare. E' l'esotismo del nostro sguardo a farci sembrare che egli la "estetizzi", ed è la melensa ipocrisia con cui noi tendiamo ad ammantarla ("guerra umanitaria", "esportare la democrazia" etc.) a far sembrare "ciniche" o "crudeli" le sue formulazioni, che invece sono solo prosaiche. Sunzi insegna a evitare la guerra. Il bravo stratega rifugge qualunque scontro non inevitabile, e se proprio deve combattere, non combatte un minuto più dello strettamente necessario. La cosa più importante è la vittoria, non la durata o l'imponenza della campagna, e la vittoria perfetta va ottenuta già prima di combattere, affinché lo scontro sia soltanto una conferma, la messa del puntino sulla i, e quindi duri poco, sparga la minima quantità di sangue, dissipi la minima quantità di energie. Per conseguire tale risultato si ricorre a stratagemmi e si utilizzano le spie. "Somigliare all'acqua", una volta compreso l'assunto, significa adattarsi alle varie condizioni e, soprattutto, fluire da monte a valle: se proprio è indispensabile attaccare, lo si faccia dove si incontrerà meno resistenza. Non per seminare più morte con più facilità, bensì per vincere seminandone meno. Il pensiero cinese si nutre di feconde contraddizioni, non deve sorprenderci che Sunzi spieghi come negare la guerra dall'interno, insegni a evitarla mentre la si fa.
Tra i tanti esempi di battaglie inutili e disgraziate - ingaggiate nelle peggiori condizioni e scegliendo le strategie più controproducenti - combattute dallo stesso manageriato globale che ama citare Sunzi, spicca la "lotta alla pirateria musicale", che spesso è stata una guerra contro Internet tout court e, soprattutto, contro il pubblico. E' ormai parere diffuso che tale offensiva - in corso da quasi un decennio - si stia concludendo col suicidio dell'industria discografica. Anziché fluire da monte a valle, aprirsi, innovare, intercettare in modo creativo prassi che si andavano diffondendo a macchia d'olio (la masterizzazione domestica di cd, lo scambio di file nelle reti peer-to-peer), i discografici hanno scelto la battaglia in campo aperto... contro i propri clienti. Repressione, minacce, denunce, tecnologie anti-copia, tasse su cd vergini e masterizzatori, lobbying per ottenere inasprimenti legislativi; i ras del disco hanno fatto il possibile per attrarre l'odio del pubblico, del consumatore di musica. Oggi sono visti come villains, gabellieri, parassiti, le loro prese di posizione sono accolte come l'arrivo dello Sceriffo di Nottingham alla festa di compleanno dei coniglietti.
"Cavalcando l'onda", rinunciando a parte dei profitti facili e a breve termine garantiti fin lì dal monopolio delle tecnologie, le major della musica avrebbero certamente limitato i danni, e forse a quest'ora avrebbero quadrato il cerchio di una "riconversione". La vittoria perfetta si ottiene evitando lo scontro. Soprattutto se il nemico è elusivo, inquantificabile, abile nell'usare stratagemmi, e se si muove a proprio agio in un territorio ancora non mappato e in costante mutamento. E a maggior ragione se quel "nemico", in realtà, è il soggetto da cui dipendi e che ti tiene in vita. Che senso ha minacciare e querelare una persona per poi, dopo un istante, blandirla affinché compri il tuo prodotto? E' più plausibile che il minacciato si convinca della necessità di boicottarti, o addirittura sabotarti. (L'immagine è fin troppo consueta, ma non possiamo fare a meno di usarla: segare il ramo su cui si è seduti.)
Gli spazi che le major non hanno occupato sono oggi colonizzati da altri soggetti, come MySpace e altri social network, e la gente continua a scambiarsi musica in rete. Il cd è considerato un supporto moribondo, il consumo di musica è sempre meno incentrato sull'acquisto di un prodotto discografico, e sempre più sull'interazione tra fruizione in rete ed esecuzioni dal vivo. Interazione su cui le major non hanno investito, preferendo la repressione. Eppure, che quella strategia fosse sbagliata e autolesionista era chiaro dal momento in cui le major fecero chiudere il primo Napster (2000). Gli osservatori più attenti - nel cui novero immodestamente ci poniamo - lo fecero notare subito e senza indugi. Il fatto che quei manager si siano lanciati a capofitto in un'impresa tanto squinternata e infausta è la riprova che Sunzi non l'hanno letto, e se l'hanno letto non l'hanno capito. Per comprendere cosa non hanno capito, e quali lezioni si possano invece trarre da questo piccolo grande trattato, non c'è di meglio che leggerlo. Leggerlo, e cercare di applicarlo noialtri, nella lotta quotidiana contro la miopia che ci porta al tracollo. Gli errori fatti dall'industria discografica sono solo un piccolo esempio, un apologo, una storiella. Su una scala più vasta, la lotta per tenere in piedi - contro ogni evidenza e senso del futuro - l'intera baracca petrolivora si preannuncia ben più velleitaria e demenziale.
Sunzi dice: "L'ira può tramutarsi in gioia, e l'indignazione in piacere; uno stato non può tuttavia risorgere dopo essere stato distrutto, né può un uomo rivivere dopo essere morto." Un'ovvietà? Chiedetelo a certa gente, che pare ben lungi dal rendersene conto.
- Sonshi.com, 01/04/2006
Carly Fiorina, presidente e amministratrice delegata della Hewlett-Packard Corp., una delle donne più potenti del mondo degli affari americano, sta lasciando la turbolenta azienda di computer dopo essere stata cacciata dal consiglio di amministrazione. Nella giornata di mercoledì, dopo l'annuncio, le azioni della H-P (Research) hanno registrato un +6,9% alla borsa di New York. A un certo punto lo stock ha toccato il +10,5%. "Le azioni salgono un po' perché a nessuno piaceva granché la leadership di Carly", ha dichiarato Robert Cihra, analista per la Fulcrum Global Partners. "Wall Street aveva perso ogni fiducia in lei", ha aggiunto, "e la speranza del mercato è che chiunque sappia fare meglio."
- CNNMoney.com, 10/02/2005
Carly Fiorina, che parla de L'arte della guerra dell'antico generale cinese Sun Tzu come del proprio libro preferito, non ha paura di incolpare singole persone o dichiarare inimicizie. Quando nel 1999 arrivò alla Hewlett-Packard, dopo incarichi dirigenziali nei settori vendite di Lucent Technologies e AT&T Corp, [...] promise che i profitti sarebbero aumentati almeno del 12% all'anno. Ma poi nel 2000 crollarono le dot-com e...
- The Houston Chronicle, 10/02/20005
Nel suo celebre L'arte della guerra, scritto all'incirca 2500 anni fa, il grande pensatore cinese Sun Tzu spiegò che la guerra non è una mera questione di emergenza, bensì di conoscenza e strategia lungimirante. Si può dire lo stesso delle crisi che si manifestano oggi. Con ogni probabilità esse muteranno il tessuto globale del nostro futuro. Per questo abbiamo urgente bisogno di una "arte delle crisi".
- Patrick Lagadec e Erwann Michel-Kerjan, "A new era calls for a new model", The New York Times, 01/11/2005
Il Bingfa di Sunzi (Sun Tzu) è uno dei libri più citati, osannati, consigliati, tirati in ballo e platealmente fraintesi degli ultimi decenni. Suo malgrado, è divenuto un livre de chevet per squali, aspiranti squali e fighetti che si atteggiano a squali, lettura obbligatoria nei corsi di management nonché di marketing, di branding e tutti gli altri -ing dell'odierno aziendalismo e turbo-capitalismo. (A dire il vero, il "turbo" oggi arranca e tossisce: questo è "recesso-capitalismo", e se continua così tra un po' andremo di nuovo a pedali.) Nelle librerie degli aeroporti internazionali, insogliolato fra operette di self-help e manuali su come fottere il prossimo, si può trovare uno smilzo paperback, cento pagine o poco più. In copertina, su uno sfondo di asfalto e grattacieli, appare un tizio in giacca e cravatta. Tiene all'orecchio un telefonino. Ha tratti orientali: occhio a mandorla, zigomo sporgente. Sorride. Sorride perché è un "vincente". E', come si diceva non troppo tempo fa, un "rampante". E' un guerriero del nuovo capitalismo globale. La copertina è quella di The Art of War, un'edizione britannica, Hodder/Mobius, Londra, 2006, £ 5.99. Tu, lettore, puoi essere questo guerriero, dice la copertina. Puoi essere come i cinesi e il loro PIL a due cifre. Le risposte alle tue domande sono in questo trattato del 490 a.C. Acquistalo e farai sfracelli.
C'è una tizia, tale Chin-Ning Chu, che ha costruito una carriera multi-milionaria sull'adattare Sunzi al mondo del business. E' autrice di una sfilza di best-seller con titoli come The Art Of War For Women o The Asian Mind Game. E' presidente della Asian Marketing Consultants Inc. E' discendente, dice, del primo imperatore della dinastia Ming. L'Occidente è un lupanare infestato da spettri. Sovente sono spettri cinesi. "The West" è al contempo sinofobo e sinofilo, teme e ammira la Cina, la detesta e la stima, la respinge e la indossa. Portiamo T-shirt con stampati ideogrammi e, per quel che ne sappiamo, potrebbe esserci scritto: "ATTENZIONE: HO LA DIARREA!" Talvolta, basta che qualcosa provenga dalla Cina per farne il panegirico o scagliare un'invettiva. Com'era già accaduto con gli aforismi di Mao Tse-tung (molti dei quali, in bocca a chiunque altro, sarebbero suonati come autentiche ovvietà), si è sviluppato un culto per certe frasette e immagini di Sunzi. Tutti dicono e ripetono che bisogna "somigliare all'acqua" e che "la guerra si fonda sull'inganno". Tolte dal loro contesto, tali frasi non significano né possono insegnare alcunché. L'arte della guerra è il testo più sopravvaluto e sottovalutato dei nostri tempi. Sopravvalutato perché lo si carica di aspettative taumaturgiche, salvifiche, provvidenziali: a sentire certi apologeti, basterebbe averne in saccoccia una copia per rinascere grandi strateghi. Somigliare all'acqua etc. Sottovalutato perché è un libro da cui poca gente si è dimostrata in grado di apprendere qualcosa.
Se L'arte della guerra fosse davvero la lettura più frequente, amata e ponderata da manager, capi d'impresa, dirigenti di multinazionali etc., costoro si accorgerebbero dei problemi molto prima del loro divenire "emergenze" e del loro sfociare in tracolli, disastri finanziari, crisi, esplosioni di "bolle". Se costoro fossero davvero strateghi (anziché giocatori d'azzardo che tirano a indovinare passando da una tattica angusta a un'altra ancor più angusta), non si sarebbero adagiati su un tran-tran da eterno presente dei consumi, ignorando ogni segnale d'allarme proveniente dal mondo. Al contrario, avrebbero da tempo investito sull'emancipazione dal petrolio e altre risorse non rinnovabili. Avrebbero "riconvertito" ovunque possibile. Avrebbero aggiornato i loro parametri, adeguato la loro idea di "sviluppo" alla realtà di un pianeta depredato e ormai quasi privo di risorse, per investire su una "decrescita" creativa e intelligente etc. etc. Invece, grazie alla loro brevimiranza e mancanza di strategia, la "decrescita" (processo ineluttabile, dato che stanno finendo idrocarburi, metalli e terra fertile), si annuncia traumatica e velenosa. Per tutti quanti, anche per loro. Nessuno ha già il visto d'ingresso nel mondo che viene. (E non pensiate che la sezione cinese del capitalismo globale sia più attrezzata delle altre ad affrontare la crisi. Tutt'altro. Arrivano ogni giorno esempi di miopia e ipoteche sul futuro da parte di funzionari e mandarini del Celeste Impero. Quel che accadrà laggiù darà nuove connotazioni al termine "ecocatastrofe".)
Quelli proposti sopra son periodi ipotetici un po' patetici, vuoti "what if", utopiche ucronìe. Il capitalismo non può funzionare diversamente da quanto vediamo ogni giorno. Come modo di produzione è costretto a schiacciare l'avvenire, a fingere che il futuro sia solo quel che è dietro al primo angolo, tempo-preda da catturare e divorare immantinente, alta velocità/voracità, il "lungo termine" non esiste, riposerò quando sarò...morto. Ma lo sei già. Dead Man Walking. Come quei personaggi dei cartoons (Wile E. Coyote, per dirne uno) che corrono corrono corrono e senza accorgersene superano il ciglio di un burrone ma continuano a correre finchè non si accorgono di non avere più la terra sotto i piedi, e solo allora precipitano.
La vera arte della guerra, quella di Sunzi, è incompatibile con tutto questo, richiede una mentalità contraria a quella appena descritta. I manager e gli squali di cui sopra possono solo adottarne la retorica di superficie, seguire qualche consiglio tattico secondario, ma non carpiranno quel che è davvero importante, non capiranno la lezione di fondo. Sonoprogrammati per non capirla. Sunzi non desidera la guerra né la fa desiderare. E' l'esotismo del nostro sguardo a farci sembrare che egli la "estetizzi", ed è la melensa ipocrisia con cui noi tendiamo ad ammantarla ("guerra umanitaria", "esportare la democrazia" etc.) a far sembrare "ciniche" o "crudeli" le sue formulazioni, che invece sono solo prosaiche. Sunzi insegna a evitare la guerra. Il bravo stratega rifugge qualunque scontro non inevitabile, e se proprio deve combattere, non combatte un minuto più dello strettamente necessario. La cosa più importante è la vittoria, non la durata o l'imponenza della campagna, e la vittoria perfetta va ottenuta già prima di combattere, affinché lo scontro sia soltanto una conferma, la messa del puntino sulla i, e quindi duri poco, sparga la minima quantità di sangue, dissipi la minima quantità di energie. Per conseguire tale risultato si ricorre a stratagemmi e si utilizzano le spie. "Somigliare all'acqua", una volta compreso l'assunto, significa adattarsi alle varie condizioni e, soprattutto, fluire da monte a valle: se proprio è indispensabile attaccare, lo si faccia dove si incontrerà meno resistenza. Non per seminare più morte con più facilità, bensì per vincere seminandone meno. Il pensiero cinese si nutre di feconde contraddizioni, non deve sorprenderci che Sunzi spieghi come negare la guerra dall'interno, insegni a evitarla mentre la si fa.
Tra i tanti esempi di battaglie inutili e disgraziate - ingaggiate nelle peggiori condizioni e scegliendo le strategie più controproducenti - combattute dallo stesso manageriato globale che ama citare Sunzi, spicca la "lotta alla pirateria musicale", che spesso è stata una guerra contro Internet tout court e, soprattutto, contro il pubblico. E' ormai parere diffuso che tale offensiva - in corso da quasi un decennio - si stia concludendo col suicidio dell'industria discografica. Anziché fluire da monte a valle, aprirsi, innovare, intercettare in modo creativo prassi che si andavano diffondendo a macchia d'olio (la masterizzazione domestica di cd, lo scambio di file nelle reti peer-to-peer), i discografici hanno scelto la battaglia in campo aperto... contro i propri clienti. Repressione, minacce, denunce, tecnologie anti-copia, tasse su cd vergini e masterizzatori, lobbying per ottenere inasprimenti legislativi; i ras del disco hanno fatto il possibile per attrarre l'odio del pubblico, del consumatore di musica. Oggi sono visti come villains, gabellieri, parassiti, le loro prese di posizione sono accolte come l'arrivo dello Sceriffo di Nottingham alla festa di compleanno dei coniglietti.
"Cavalcando l'onda", rinunciando a parte dei profitti facili e a breve termine garantiti fin lì dal monopolio delle tecnologie, le major della musica avrebbero certamente limitato i danni, e forse a quest'ora avrebbero quadrato il cerchio di una "riconversione". La vittoria perfetta si ottiene evitando lo scontro. Soprattutto se il nemico è elusivo, inquantificabile, abile nell'usare stratagemmi, e se si muove a proprio agio in un territorio ancora non mappato e in costante mutamento. E a maggior ragione se quel "nemico", in realtà, è il soggetto da cui dipendi e che ti tiene in vita. Che senso ha minacciare e querelare una persona per poi, dopo un istante, blandirla affinché compri il tuo prodotto? E' più plausibile che il minacciato si convinca della necessità di boicottarti, o addirittura sabotarti. (L'immagine è fin troppo consueta, ma non possiamo fare a meno di usarla: segare il ramo su cui si è seduti.)
Gli spazi che le major non hanno occupato sono oggi colonizzati da altri soggetti, come MySpace e altri social network, e la gente continua a scambiarsi musica in rete. Il cd è considerato un supporto moribondo, il consumo di musica è sempre meno incentrato sull'acquisto di un prodotto discografico, e sempre più sull'interazione tra fruizione in rete ed esecuzioni dal vivo. Interazione su cui le major non hanno investito, preferendo la repressione. Eppure, che quella strategia fosse sbagliata e autolesionista era chiaro dal momento in cui le major fecero chiudere il primo Napster (2000). Gli osservatori più attenti - nel cui novero immodestamente ci poniamo - lo fecero notare subito e senza indugi. Il fatto che quei manager si siano lanciati a capofitto in un'impresa tanto squinternata e infausta è la riprova che Sunzi non l'hanno letto, e se l'hanno letto non l'hanno capito. Per comprendere cosa non hanno capito, e quali lezioni si possano invece trarre da questo piccolo grande trattato, non c'è di meglio che leggerlo. Leggerlo, e cercare di applicarlo noialtri, nella lotta quotidiana contro la miopia che ci porta al tracollo. Gli errori fatti dall'industria discografica sono solo un piccolo esempio, un apologo, una storiella. Su una scala più vasta, la lotta per tenere in piedi - contro ogni evidenza e senso del futuro - l'intera baracca petrolivora si preannuncia ben più velleitaria e demenziale.
Sunzi dice: "L'ira può tramutarsi in gioia, e l'indignazione in piacere; uno stato non può tuttavia risorgere dopo essere stato distrutto, né può un uomo rivivere dopo essere morto." Un'ovvietà? Chiedetelo a certa gente, che pare ben lungi dal rendersene conto.
- Symo
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