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lunedì 24 ottobre 2016

Un Personale Addio a Steve Dillon

Non sono solito a tributi del genere. Li reputo un pò morbosi. Ma sta volta, visto di chi stiamo parlando, va fatto: sopratutto visto come si sta comportando Facebook e altri social network di sto cazzo. 


Qualche giorno fa, in una fredda e autunnale giornata qualunque di Ottobre, succedeva qualcosa per cui un uomo sente ancora di più il gelo nelle ossa. Muore qualcuno, ma non un semplice qualcuno, un qualcuno per cui si provava ammirazione. Uno di quei qualcuno, che se facevi outing e dicevi che ti piaceva, tutti ti guardavano male tipo appestato. Il 22 Ottobre del 2016 muore Steve Dillon, segnando così un nuovo record della sinistra mietitrice, che quest'anno s'è decisa a portarci via un sacco di talenti, nonché sagome delle forme artistiche più amate come cinema, musica ecc. Non sono ancora chiare le dinamiche dell'accaduto, l'unica cosa di cui si è sicuri risulta essere la conferma di Warren Ellis, che via Twitter ha dato l'orribile notizia.

Per correttezza dovrebbe esserci un post per ogni "morte illustre" (chiamiamola così) ma siccome non sono una attention whore, quindi se ci sono post del genere su queste coordinate, è sempre per dire qualcosa di scomodo, che tutti pensano ma nessuno dice. Si, un pò come il post di tributo al caro e compianto Scott Weiland, che ancora oggi piango. Per Steve Dillon sarà la stessa cosa, perché proprio come Scott, erano figure artistiche fortemente fraintese e discusse. 


Steve Dillon era un disegnatore dallo stile obiettivamente non straordinario. Esploso negli anni '90 sopratutto grazie ad una run di Hellblazer - successiva a quella di Jamie Delano - e all'opera più riconoscibile di Garth Ennis, Preacher, e con il quale realizzerà con lui ancora un macello di lavori (come The Punisher e Punisher Max, per dirne qualcuno) trasformando la coppia Ennis/Dillon in uno dei dream team più acclamati di sempre, il suo modo di disegnare era indubbiamente figlio dello stile britannico anni '80. In Dillon c'ho sempre visto, a livello di stile artistico, il diretto successore dell'arte di Brian Bolland, un arte maturata e fortemente influenza da 2000 A.D., una delle opere più britanniche di sempre. Questa ispirazione ha infatti dato vita a dei pro e dei contro. Il contro era, ovviamente, quello di sfoggiare uno stile fortemente plastico, poco dinamico, legnoso e anti-espressivo; spesso i modelli dei suoi personaggi si somigliavano tutti e non c'era grande differenza tra un Wolverine o un Animal Man o tra una faccia felice e incazzata, a volte. E il pro?

Il pro era che da Steve Dillon avevi sempre quello che ti aspettavi. Come disegnatore, lo ammiravo e valorizzavo già da molto, moltissimo tempo, da quando lo scoprì sulla Wolverine Origins scritta da Daniel Way, dove Dillon ne realizzò i primi 20/25 numeri; infatti, la prima tavola che ho messo in questo post in suo onore, arriva proprio da Wolverine Origins #1. Poi da li a recuperare altre cose su di lui. Ammiravo Dillon e il suo stile senza troppe pretese e senza troppi fronzoli, tant'è che lo usavo spesso come esempio per far capire agli altri quello che mi piaceva del disegno fumettistico e di quello che volevo vedere nelle pagine patinate. Dicevo sempre che preferivo uno come Dillon perché era una certezza. Da lui avevi sempre quello che aspettavi e, ok, non ha mai rinnovato il suo stile e non ha cercato di cambiarlo. Ma era uno di quelli che preferiva, a livello grafico, andare al punto e mostrare uno stile funzionale alla narrazione: ed ecco il perché uno come Garth Ennis lo richiamava spesso e volentieri alla sua corte, perché se Ennis fosse stato capace di disegnare, avrebbe disegnato come Dillon. 

L'ho sempre detto senza vergogna alcuna, che preferito uno Steve Dillon ad un Leinil Francis Yu, disegnatore che cerca sempre di fare il passo più lungo della gamba pisciando e cercando di fare il ricercato, fallendo nella maggior parte dei casi. 


Per me Dillon era la definizione fatta a fumetto di: "poche chiacchiere e più sostanza", che a volte nel fumetto ci vuole anche quello. Era un disegnatore d'azione, nato per i titoli che l'hanno reso celebre, come Preacher e The Punisher. E' vero che i dettagli rendono grande una storia, sopratutto una storia a fumetti. Ma Dillon era uno di quelli che aveva capito il potere, a volte "maligno", che i dettagli esercitano sugli artisti: a volte, capita, che il continuo dettagliare e dare più importanza ad elementi di contorno che alla storia principale, allunga il brodo e fa perdere di vista il vero obiettivo. Non metto in dubbio che Steve Dillon non fosse capace di esercitare uno stile diverso da quello che mostrava e non metto in dubbio che fosse un disegnatore con dei limiti, ma almeno aveva preso due piccioni con una fava. Aveva detto: "non so dare più di questo, ergo mi metto al servizio di chi ha bisogno di storia che vanno dritte alla giugulare". Quello che però mi fa fortemente incazzare, è che ora Steve Dillon è un Maestro

Ma Steve Dillon non era uno scarpone che non sapeva fare niente? Non era un disegnatore mediocre criticato per il suo stile plastico e incapace di rinnovarsi? Non era il peggio del peggio? Non era un disegnatore dallo stile così abbozzato che tutti si chiedevano che materiale di ricatto avesse per poter lavorare in Marvel e DC? Vorrei sinceramente ridere davanti a sedicenti piagnistei di finta stima che ora circolano su Facebook perché scatenati della sua recentissima scomparsa. La verità, la crudele e triste verità, è che ora apprezzate Steve Dillon solo perché è morto. Fosse ancora vivo, probabilmente non ci sarebbe stata tutta questa improvvisa "riscoperta di un talento imprescindibile del fumetto". E' come Michael Jackson: fino a ieri era un pedofilo, poi muore e diventa un artista dal genio inarrivabile. O come mi ha detto proprio in questi giorni il mio amico e collega Lorenzo Cardellini (ex-membro di Metallized, ora in Geek Area) attraverso una conversazione su What'sApp, che è come Lou Reed. Genio incommensurabile della musica, poi diventato un somaro all'uscita di Lou Lou, album realizzato interamente in collaborazione coi Metallica. Poi muore e torna ad essere un genio. Questo succede per il più triste dei motivi: avete paura che succeda anche a voi.

Questa è una mia piccola teoria, ma sostanzialmente la santificazione pubblica di figure altamente discusse come Steve Dillon, avvengono perché nel momento della loro morte, ci si accorge che può capitare anche a noi. Ci si accorge che, prima o poi, si morirà e chi rimarrà in vita potrà spalare merda su di noi e noi non saremo li per inviare la Facebook la richiesta di ban. Non si ha tanto paura della morte, quanto della figura che si farà una volta deceduti. Come saremo ricordati, come degli stronzi, o come delle grandi persone? Allora ecco che parte la Maratona della Finta Solidarietà, dove si spargono complimenti mai fatti prima per sopperire alla paura che possa capitare anche a voi. Ecco perché la maggior parte degli utenti dei social network parla bene di Steve Dillon.


L'unica nota positiva in tutto questo, è che prima della sua morte, ci ha regalato almeno un altro ciclo del Puni, stavolta seguendo i testi della pregevole Becky Cloonan. Ah no, c'è un'altra nota positiva della tua morte, Steve. Non puoi vedere tutta la finta ammirazione che ti tirano dietro tipo caramelle. 'Nattristezza, guarda...

Il mondo perde un altro talento rivalutato troppo, troppo, troppo tardi e per i motivi sbagliati. Dall'altra parte non ti auguro di trovare angeli a cui insegnare cose, ma di trovare questi tre adorabili bastardi e dare il via alla più grande sbronza del creato. 


- Symo

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