Questo post è stato fatto su consiglio di amici. Vedere il seguito di Blade Runner è una delle tante cose che ho fatto durante il mio soggiorno a New York; quindi, nella stessa recensione, ho parlato anche un po' della cultura che gli Americani hanno attorno al cinema. Alcuni però hanno trovato la recensione un po' appesantita dalla parte culturale, che molti hanno saltato a pié pari per leggersi solo la recensione. Così ho pensato: "accontentiamo quelli che vogliono solo sapere cosa ne penso di BLADE RUNNER 2049". Ed eccoci qui.
Trama:
2049. Incaricato di recuperare un vecchio modello di replicante, l'ufficiale K, un blade runner appartenente alla polizia di Los Angeles, riporta in luce un segreto a lungo sepolto che ha il potenziale di far precipitare nel caos ciò che è rimasto della società. La scoperta lo porta a dover scovare Rick Deckard, un ex blade runner scomparso da trent'anni.
Il mio Parere:
Il seguito del Blade Runner di Ridley Scott basato sul romanzo di Phil K. Dick - Ma gli androidi sognano pecore elettriche? - ci è piaciutoci, o no? Ebbene si, ci è piaciuto molto.
La cosa che fa più giusta questo film, è una cosa che molti film non si rendono neanche conto di sbagliare: il tempismo. Blade Runner 2049 esce in un periodo in cui il mondo è pervaso da una grande instabilità. Lavorando con le scuole, mi rendo conto che la generazione "che ci pagherà la pensione" (rido ogni volta che sento la parola "pensione") è priva di molte delle cose che hanno quella del sottoscritto e quella prima ancora. E' una generazione che va avanti per inerzia, che fa quello che fa semplicemente perché deve essere fatto e qualcuno gli ha detto di farlo. Ricordo che, quando ero piccolo, non solo i miei genitori mi spiegavano il perché delle cose, ma anche le altre figure formative che ho incontrato nella vita si erano impegnate a farlo... Nel bene e nel male. Per quanto molti dei maestri/professori che ho incontrato nella vita fossero degli incompetenti da Guinnes dei Primati (quello delle scimmie, però) avevano comunque il pregio di avermi inculcato (spesso a posteriori) l'importanza di avere dei valori e di capire il significato dietro certe istituzioni; spesso, capivo queste cose in diretta contrapposizione alla loro incompetenza: se loro spiegavano accazzo, di conseguenza capivo l'importanza di una spiegazione fatta bene, dato che poi sarei cresciuto con lacune pazzesche.
Il seguito di Blade Runner arriva in un periodo come questo, facendo sicuramente meno scalpore del suo predecessore a livello mediatico - proprio perché non rappresenta la novità - ma questo non vuol dire che la pellicola non lasci parlare di sé in quanto efficace, come il primo, nei contenuti e nella rappresentazione di un mondo tecnologico e totalmente schiavo della tecnologia. Blade Runner 2049 è qui perché, come il prequel di Ridley Scott, sentiva il bisogno di rispiegare le tematiche di cui si è fatto portavoce ben trentacinque anni fa, spingendo gli spettatori ad alzare lo sguardo dai loro telefoni e guardarsi attorno, cercando di sistemare cosa c'è di sbagliato. Il film è qui, insomma, per motivi ben più nobili della semplice operazione nostalgia o della ignobile operazione commerciale di revival dovuto a sottrarre spettatori dalle serie tv e riportarli nelle sale cinematografiche. E' qui perché questa nuova generazione ha bisogno di un suo Blade Runner e di un film che spieghi a loro non solo delle tematiche che sono diventate la realtà del mondo di oggi ma anche, e semplicemente, delle tematiche da cui si possono trarre dei valori. Quelle che mancano al mondo d'oggi.
Siccome Blade Runner 2049 doveva essere un seguito non tanto della trama del precedente, quanto il capitolo in più che serviva per completare il manifesto del mondo futuro di Phil K. Dick, l'abile Denis Villeneuve sceglie di essere il più fedele possibile nel linguaggio audiovisivo (quasi replicando quello di Scott) optando per una colonna sonora principalmente composta da musica ambient con leggere influenze elettroniche per aumentare l'alienazione dello spettatore e - ovviamente - una regia dall'enorme qualità visiva accompagnata da una fotografia che cerca di essere funzionale alle sensazioni di solitudine e desolazione che vuole trasmettere la pellicola: sensazioni intenzionate a trasmettere emozioni fredde ed asettiche proprie del romanzo originale, ma mancanti del Blade Runner del 1982 oltre che sostituite per favorire la caoticità e la sporcizia. Ovviamente, la regia non sarebbe risaltata così tanto se gli scenografi non avessero scelto e creato dei set in grado di trasmettere quelle emozioni con il supporto di una regia golosa di lunghi campi, panoramiche e piani americani in grado di teletrasportare lo spettatore direttamente dentro il film e viverlo come se fosse parte integrante della storia.
Gli aspetti tecnici, quindi (supportati dalla regia, ma anche dalla recitazione) sono i punti di forza della pellicola, al contrario infatti della trama e dei dialoghi. Con questo non si vuole dire che la storia e le conversazioni/monologhi siano esenti da qualità, solo che - rapportati alla fotografia/regia/scenografia - non reggono il confronto. Rispetto al suo predecessore degli anni '80, il seguito non ha l'asciuttezza dell'originale e preferisce stordire di spiegazioni piuttosto che parlare per immagini allegoriche e simboliche; addirittura arriva persino in ritardo sulle intuizioni dello spettatore, telefonando pronti via alcune cose. Ma la forza interna del racconto, le tematiche che si impegna per valorizzare e la materia di cui è fatto, è così potente che trascina oltre, come una corrente.
Come dicevo prima, questa è una generazione che contribuisce a tener viva una società senza valori: e se ce li ha, sono insipidi. Uno sproposito di attentati, immigrazioni illegali e tutte le piaghe della società di oggi hanno contribuito ad indurire le persone, distorcendo il loro concetto di "umanità". Un altrettanto uno improprio della tecnologia e la spesso eccessiva importanza che le viene data, ha fatto si che quest'ultima si trasformasse a volte in un dio dell'inganno che comprometteva la veridicità di certe informazioni. Ed ecco che in una società che ha perso il concetto di umano e non sa distinguere tra la realtà e la finzione, ritorna Blade Runner a dire la sua. Cos'è reale e cosa non lo è, cosa è umano e cosa no erano i temi importanti e portanti dell'originale romanzo che qui ritornano con gentile prepotenza. Umano vuol dire solamente essere fatto di carne e ossa, oppure si riferisce alla qualità della sostanza di cui sono fatti i sentimenti che compongono l'anima? Citando l'opera di Masamune Shirow: si è umani guardando il materiale di cui è fatto lo shell, o ciò che lo contiene, il ghost?
Il film suggerisce che umani magari non si nasce, ma l'umanità è una conquista possibile, poiché spesso - anche nel mondo di oggi - ci è stata data prova che non sempre gli esseri umani sono i primi portatori di umanità e sbandieratori della stessa. A volte gli umani sono più freddi delle macchine e più meschini che mai. Ma a questo punto, se il concetto di umanità viene stravolto e anche un qualcosa di inumano fuori, è capace della più cristallina umanità, a cosa credere? Perché se l'umanità è un qualcosa che possiamo direttamente toccare con mano e vedere con gli occhi, automaticamente la nostra mente lo registra come "reale" soprattutto perché arriva da una persona reale, fisica, tangibile. Ma se quell'umanità arriva da un qualcosa di totalmente contrario e opposto a questa descrizione, allora cosa è reale? Quando le regole che sono diventate la nostra normalità, nonché le fondamenta della nostra quotidianità, vengono stravolte, cosa ci rimane?
In realtà, la domanda non è neanche questa, non è cosa è reale e cosa no, quanto più: cosa è per noi e quanto ci importa. Forse il cane di Deckard non è reale, ma è reale il legame che li tiene insieme. Forse i ricordi di K non sono reali, ma lo sarà stato il suo viaggio. E se per queste cose proviamo qualcosa, allora noi siamo umani e quello che proviamo è vero. E questo, qualcuno, doveva ricordarlo al mondo di oggi.
Molto molto buona, come dicevo, anche la recitazione, anche qualche attore spicca molto più di altri: Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto e Sylvia Hoeks sopra tutti gli altri, tanto per fare qualche nome. Leto e Hoeks si lasciano ricordare principalmente per aver portato sul grande schermo dei villain da manuale: tra i due, spicca ovviamente la Hoeks per il ruolo molto più attivo e per una caratterizzazione in continua evoluzione che ha fatto sicuramente onore ai "villain" del precedente film. Leto invece sta più sullo sfondo ma, quando compare, fa talmente bene la parte dell'industriale pezzo di merda/proprietario malvagio delle multinazionali tipici degli anni '80 da rubare la scena. Gosling invece risulta quasi spiazzante per la capacità dicotomica di presentare un personaggio fisicamente inespressivo e incapace di mostrate, coi movimenti facciali, nessuna emozione, o comunque degli sfoghi emotivi limitati e calcolati. Ma nonostante ciò, in grado di parlare e di descrivere quello che ha dentro con i suoi silenzi e il modo in cui si approccia alla situazione, delineando una figura tragica e tormentata: anche se non riesce ad esprimerlo come vorrebbe. Ford invece interpreta nient'altro che sé stesso ma, del resto, l'attore è nato per fare ruoli tipo Han Solo e Rick Deckard: e va bene così.
Altri attori invece non hanno saputo mettere a segno lo stesso risultato, delineando magari personaggi un po' troppo sempliciotti o poco interessanti. Questo perché, se reciti in una qualche maniera, si vede, al di là della lingua. E diciamola sta cosa, già che ci sono, già che ho l'occasione di vedere un film in lunga originale mentre sono nel paese di quella lingua. Molti hanno da dire sul doppiaggio, che le voci non sono azzeccate, che la traduzione è una ciofeca e questo non permette di gustarsi appieno la bravura degli attori. Beh, quinta rivelazione di Fatima: alcuni attori recitano male indipendentemente dalla lingua. A volte è davvero il doppiaggio che li salva, dando più personalità alla loro voce. La bravura non è delimitata dalla lingua. Il talento è internazionale.
La cosa che fa più giusta questo film, è una cosa che molti film non si rendono neanche conto di sbagliare: il tempismo. Blade Runner 2049 esce in un periodo in cui il mondo è pervaso da una grande instabilità. Lavorando con le scuole, mi rendo conto che la generazione "che ci pagherà la pensione" (rido ogni volta che sento la parola "pensione") è priva di molte delle cose che hanno quella del sottoscritto e quella prima ancora. E' una generazione che va avanti per inerzia, che fa quello che fa semplicemente perché deve essere fatto e qualcuno gli ha detto di farlo. Ricordo che, quando ero piccolo, non solo i miei genitori mi spiegavano il perché delle cose, ma anche le altre figure formative che ho incontrato nella vita si erano impegnate a farlo... Nel bene e nel male. Per quanto molti dei maestri/professori che ho incontrato nella vita fossero degli incompetenti da Guinnes dei Primati (quello delle scimmie, però) avevano comunque il pregio di avermi inculcato (spesso a posteriori) l'importanza di avere dei valori e di capire il significato dietro certe istituzioni; spesso, capivo queste cose in diretta contrapposizione alla loro incompetenza: se loro spiegavano accazzo, di conseguenza capivo l'importanza di una spiegazione fatta bene, dato che poi sarei cresciuto con lacune pazzesche.
Il seguito di Blade Runner arriva in un periodo come questo, facendo sicuramente meno scalpore del suo predecessore a livello mediatico - proprio perché non rappresenta la novità - ma questo non vuol dire che la pellicola non lasci parlare di sé in quanto efficace, come il primo, nei contenuti e nella rappresentazione di un mondo tecnologico e totalmente schiavo della tecnologia. Blade Runner 2049 è qui perché, come il prequel di Ridley Scott, sentiva il bisogno di rispiegare le tematiche di cui si è fatto portavoce ben trentacinque anni fa, spingendo gli spettatori ad alzare lo sguardo dai loro telefoni e guardarsi attorno, cercando di sistemare cosa c'è di sbagliato. Il film è qui, insomma, per motivi ben più nobili della semplice operazione nostalgia o della ignobile operazione commerciale di revival dovuto a sottrarre spettatori dalle serie tv e riportarli nelle sale cinematografiche. E' qui perché questa nuova generazione ha bisogno di un suo Blade Runner e di un film che spieghi a loro non solo delle tematiche che sono diventate la realtà del mondo di oggi ma anche, e semplicemente, delle tematiche da cui si possono trarre dei valori. Quelle che mancano al mondo d'oggi.
Siccome Blade Runner 2049 doveva essere un seguito non tanto della trama del precedente, quanto il capitolo in più che serviva per completare il manifesto del mondo futuro di Phil K. Dick, l'abile Denis Villeneuve sceglie di essere il più fedele possibile nel linguaggio audiovisivo (quasi replicando quello di Scott) optando per una colonna sonora principalmente composta da musica ambient con leggere influenze elettroniche per aumentare l'alienazione dello spettatore e - ovviamente - una regia dall'enorme qualità visiva accompagnata da una fotografia che cerca di essere funzionale alle sensazioni di solitudine e desolazione che vuole trasmettere la pellicola: sensazioni intenzionate a trasmettere emozioni fredde ed asettiche proprie del romanzo originale, ma mancanti del Blade Runner del 1982 oltre che sostituite per favorire la caoticità e la sporcizia. Ovviamente, la regia non sarebbe risaltata così tanto se gli scenografi non avessero scelto e creato dei set in grado di trasmettere quelle emozioni con il supporto di una regia golosa di lunghi campi, panoramiche e piani americani in grado di teletrasportare lo spettatore direttamente dentro il film e viverlo come se fosse parte integrante della storia.
Gli aspetti tecnici, quindi (supportati dalla regia, ma anche dalla recitazione) sono i punti di forza della pellicola, al contrario infatti della trama e dei dialoghi. Con questo non si vuole dire che la storia e le conversazioni/monologhi siano esenti da qualità, solo che - rapportati alla fotografia/regia/scenografia - non reggono il confronto. Rispetto al suo predecessore degli anni '80, il seguito non ha l'asciuttezza dell'originale e preferisce stordire di spiegazioni piuttosto che parlare per immagini allegoriche e simboliche; addirittura arriva persino in ritardo sulle intuizioni dello spettatore, telefonando pronti via alcune cose. Ma la forza interna del racconto, le tematiche che si impegna per valorizzare e la materia di cui è fatto, è così potente che trascina oltre, come una corrente.
Come dicevo prima, questa è una generazione che contribuisce a tener viva una società senza valori: e se ce li ha, sono insipidi. Uno sproposito di attentati, immigrazioni illegali e tutte le piaghe della società di oggi hanno contribuito ad indurire le persone, distorcendo il loro concetto di "umanità". Un altrettanto uno improprio della tecnologia e la spesso eccessiva importanza che le viene data, ha fatto si che quest'ultima si trasformasse a volte in un dio dell'inganno che comprometteva la veridicità di certe informazioni. Ed ecco che in una società che ha perso il concetto di umano e non sa distinguere tra la realtà e la finzione, ritorna Blade Runner a dire la sua. Cos'è reale e cosa non lo è, cosa è umano e cosa no erano i temi importanti e portanti dell'originale romanzo che qui ritornano con gentile prepotenza. Umano vuol dire solamente essere fatto di carne e ossa, oppure si riferisce alla qualità della sostanza di cui sono fatti i sentimenti che compongono l'anima? Citando l'opera di Masamune Shirow: si è umani guardando il materiale di cui è fatto lo shell, o ciò che lo contiene, il ghost?
Il film suggerisce che umani magari non si nasce, ma l'umanità è una conquista possibile, poiché spesso - anche nel mondo di oggi - ci è stata data prova che non sempre gli esseri umani sono i primi portatori di umanità e sbandieratori della stessa. A volte gli umani sono più freddi delle macchine e più meschini che mai. Ma a questo punto, se il concetto di umanità viene stravolto e anche un qualcosa di inumano fuori, è capace della più cristallina umanità, a cosa credere? Perché se l'umanità è un qualcosa che possiamo direttamente toccare con mano e vedere con gli occhi, automaticamente la nostra mente lo registra come "reale" soprattutto perché arriva da una persona reale, fisica, tangibile. Ma se quell'umanità arriva da un qualcosa di totalmente contrario e opposto a questa descrizione, allora cosa è reale? Quando le regole che sono diventate la nostra normalità, nonché le fondamenta della nostra quotidianità, vengono stravolte, cosa ci rimane?
In realtà, la domanda non è neanche questa, non è cosa è reale e cosa no, quanto più: cosa è per noi e quanto ci importa. Forse il cane di Deckard non è reale, ma è reale il legame che li tiene insieme. Forse i ricordi di K non sono reali, ma lo sarà stato il suo viaggio. E se per queste cose proviamo qualcosa, allora noi siamo umani e quello che proviamo è vero. E questo, qualcuno, doveva ricordarlo al mondo di oggi.
Molto molto buona, come dicevo, anche la recitazione, anche qualche attore spicca molto più di altri: Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto e Sylvia Hoeks sopra tutti gli altri, tanto per fare qualche nome. Leto e Hoeks si lasciano ricordare principalmente per aver portato sul grande schermo dei villain da manuale: tra i due, spicca ovviamente la Hoeks per il ruolo molto più attivo e per una caratterizzazione in continua evoluzione che ha fatto sicuramente onore ai "villain" del precedente film. Leto invece sta più sullo sfondo ma, quando compare, fa talmente bene la parte dell'industriale pezzo di merda/proprietario malvagio delle multinazionali tipici degli anni '80 da rubare la scena. Gosling invece risulta quasi spiazzante per la capacità dicotomica di presentare un personaggio fisicamente inespressivo e incapace di mostrate, coi movimenti facciali, nessuna emozione, o comunque degli sfoghi emotivi limitati e calcolati. Ma nonostante ciò, in grado di parlare e di descrivere quello che ha dentro con i suoi silenzi e il modo in cui si approccia alla situazione, delineando una figura tragica e tormentata: anche se non riesce ad esprimerlo come vorrebbe. Ford invece interpreta nient'altro che sé stesso ma, del resto, l'attore è nato per fare ruoli tipo Han Solo e Rick Deckard: e va bene così.
Altri attori invece non hanno saputo mettere a segno lo stesso risultato, delineando magari personaggi un po' troppo sempliciotti o poco interessanti. Questo perché, se reciti in una qualche maniera, si vede, al di là della lingua. E diciamola sta cosa, già che ci sono, già che ho l'occasione di vedere un film in lunga originale mentre sono nel paese di quella lingua. Molti hanno da dire sul doppiaggio, che le voci non sono azzeccate, che la traduzione è una ciofeca e questo non permette di gustarsi appieno la bravura degli attori. Beh, quinta rivelazione di Fatima: alcuni attori recitano male indipendentemente dalla lingua. A volte è davvero il doppiaggio che li salva, dando più personalità alla loro voce. La bravura non è delimitata dalla lingua. Il talento è internazionale.
Conclusioni:
Bello e imperfetto: proprio come gli umani di cui il film parla e cerca di farne riscoprire l'umanità. Blade Runner 2049 è una grande esperienza che merita di essere vissuta.
- Symo
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